CONTINUA LA REPRESSIONE IN TIBET

La repressione di
Pechino non conosce soste in Tibet. Nelle regione orientale, dove è avvenuta la
maggior parte delle autoimmolazioni (che hanno ormai raggiunto il numero di 80,
nella totale indifferenza dei governi e delle opinioni pubbliche delle maggiori
democrazie del mondo),  le punizioni
d’ora in poi saranno collettive. Sono presi di mira quelli del “gruppo del
Dalai”. Una circolare del partito comunista elenca una serie di misure che saranno
prese immediatamente per cancellare ogni tipo di beneficio statale per i
familiari di chi si è immolato. Anche i funzionari pubblici sono ritenuti
responsabili di non aver saputo prevenire le autoimmolazioni, ritenute “nocive
all’armonia sociale” e le località in cui hanno avuto luogo le autoimmolazioni
saranno private di fondi governativi per tre anni. Un altro punto della
circolare prevede che debbano essere colpiti tutti quegli individui che
decidono di recarsi dalle famiglie di chi si è autoimmolato per dare offerte,
presentare condoglianze o anche per esprimere rispetto. Sono individui da
“educare” perché le loro azioni sono “sbagliate e avranno serie conseguenze.”
La repressione serve per evitare che chi sceglie il suicidio di protesta possa
essere celebrato come un eroe. Pare incredibile che a distanza di qualche
decennio le democrazie dimentichino le tragedie e i milioni di vittime causate
dal terrore staliniano e da quello di Mao perché volevano “educare” l’uomo
nuovo e correggere coloro che sbagliavano. La storia in Tibet si ripete e tutti
rimangono zitti.

 

La Commissione

 

1.   
che è certamente al corrente della situazione, quale iniziativa ha
intrapreso per tutelare la sicurezza dei tibetani e per far loro comprendere
che qualcuno al mondo non dimentica la loro tragedia e si batte per alleviarla?

2.   
Non ha strumenti la diplomazia europea per esercitare pressioni
sui governanti comunisti cinesi?

3.   
Non teme di pagar caro questo continuo alzare le mani di fronte
alle dittature politiche, militari o ideologiche che siano?


IT
E-002418/2013
Risposta dell’Alta rappresentante / vicepresidente Catherine Ashton
a nome della Commissione
(25.4.2013)

 

 

L’Unione europea
ha sollevato pubblicamente la questione del Tibet in numerose occasioni. Per esempio,
il 12 giugno 2012 l’Alta
rappresentante /vicepresidente Ashton ha parlato della situazione tibetana di
fronte al Parlamento europeo, il 14 dicembre 2012 ha rilasciato una
dichiarazione a nome dell’UE27 sulle autoimmolazioni in Tibet e, da ultimo, il
13 marzo 2013, si è espressa sulla questione nel corso del dibattito sull’adozione
della relazione del Parlamento europeo sui rapporti tra l’Unione europea e
la Cina. Il
Tibet viene anche menzionato sistematicamente nelle dichiarazioni dell’Unione
europea presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e, da
ultimo, è stato citato durante la sessantesima riunione dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite.

 

L’Unione europea esprime
preoccupazione per le restrizioni alle espressioni d’identità tibetana imposte
dalle autorità cinesi, che sembrano provocare un’ondata di malcontento nella
regione. L’Unione ha ripetutamente esortato le autorità cinesi ad affrontare le
cause profonde della frustrazione della popolazione tibetana e a garantire che
in Tibet siano rispettati i diritti civili, politici, economici, sociali e
culturali, tra cui il diritto di godere della propria cultura, di praticare la
propria religione e di esprimersi nella propria lingua. Inoltre, l’Unione europea
esorta le autorità cinesi a rilasciare tutte le persone detenute per aver
partecipato a manifestazioni pacifiche e a consentire il libero accesso a tutte
le regioni del Tibet. L’UE chiede agli stessi tibetani di astenersi da forme
estreme di protesta e ai dirigenti delle comunità e ai leader religiosi di
avvalersi della propria influenza per contribuire a porre fine a questa tragica
perdita di vite umane.