Lyondell Basell: sospetta violazione delle norme a tutela dei lavoratori e dei livelli occupazionali in caso di dismissioni

Nel mese di febbraio 2010 la multinazionale americana Lyondell Basell, con quattro sedi in Italia, ha annunciato ufficialmente l’avvio di un piano di ristrutturazione volto al ridimensionamento aziendale. In particolare, appellandosi al Capitolo 11 della legge fallimentare americana, è stata annunciata la chiusura entro la fine dell’anno dell’impianto chimico di Terni.

La multinazionale, produttrice di polipropilene, ha assunto la decisione di procedere al piano di rientro finanziario e al relativo piano industriale non tenendo minimamente conto delle conseguenze negative sul piano occupazionale. Infatti, oltre alla perdita di circa 1000 posti di lavoro del polo chimico di Terni, si avrà un effetto domino che si ripercuoterà su altre quattro unità produttive presenti nella zona quali Treofan, Meraklon, Novamont ed Edison.

Al fine di scongiurare la chiusura dello stabilimento della Lyondell Basell di Terni, è stato organizzato in questi giorni un incontro presso la sede di Confindustria tra la multinazionale, le segreterie nazionali di FILCEM (Federazione Italiana lavoratori Chimica Energia Manifatture), FEMCA (Federazione Energia Moda Chimica e Affini della Cisl) e UILCEM (Unione Italiana Lavoratori Chimica Energia Manifatturiero) e il coordinamento delle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) nazionali, nel tentativo di trovare un accordo che potesse evitare la chiusura dello stabilimento che rappresenta un polo di eccellenza in Italia e in Europa nella produzione di polipropilene. Tuttavia, ad oggi la Lyondell Basell è rimasta ferma nel suo proposito unilaterale di procedere alla chiusura dello stabilimento di Terni.

Ciò premesso, si interroga la Commissione per sapere:

1. se è al corrente della situazione;
2. quali azioni possono essere adottate per evitare il licenziamento dei dipendenti;
3. se non ritiene tale piano di ristrutturazione contrario alla direttiva 2002/14/CE(1) ed alla direttiva 2001/23/CE(2);
4. se la Lyondell Basell ha rispettato le disposizioni della direttiva n. 98/59/CE(3) in materia di licenziamenti collettivi, in particolare l’art. 2 e la direttiva 94/45/CE(4), modificata dalla direttiva 97/74/CE(5);
5. se la Lyondell Basell ha rispettato i criteri che vietano atti o comportamenti discriminatori ai danni delle donne lavoratrici, come previsto dalla legge n. 125/91 nonché dalla direttiva 2002/73/CE(6);
6. in che modo i lavoratori della Lyondell Basell possono accedere al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, come previsto dal Regolamento CE n. 1927/2006(7), modificato dal Regolamento CE n. 546/2009(8) .

(1) GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29.
(2) GU L 82 del 22.3.2001, pag. 16.
(3) GU L 225 del 12.8.1998, pag. 16.
(4) GU L 254 del 30.9.1994, pag. 64.
(5) GU L 10 del 16.1.1998, pag. 22.
(6) GU L 269 del 5.10.2002, pag. 15.
(7) GU L 406 del 30.12.2006, pag. 1.
(8)

GU L 167 del 29.6.2009, pag. 26.

Risposta data da László Andor a nome della Commissione

1. La Commissione non è al corrente della situazione descritta dagli onorevoli parlamentari. In generale le società non hanno alcun obbligo di informare la Commissione riguardo alle decisioni che intendono prendere.

2. Per quanto riguarda la questione generale delle ristrutturazioni e delle strategie aziendali la Commissione desidera sottolineare il fatto che non ha alcuna autorità per impedire o ritardare le decisioni delle società private. Essa attira l’attenzione degli onorevoli parlamentari sui principi, le politiche e gli strumenti di cui alla sua comunicazione «Ristrutturazioni e occupazione»(1), alle buone pratiche nelle ristrutturazioni(2)concordate dalle parti sociali europee e alle sue «Liste di controllo sui processi di ristrutturazione»(3). Tali documenti contengono orientamenti generali utili per anticipare, preparare e gestire i cambiamenti in modo socialmente responsabile.

La direttiva 98/59/CE del Consiglio(4) prevede che un datore di lavoro che vuol procedere a licenziamenti collettivi deve fornire ai rappresentanti dei lavoratori informazioni specifiche relative ai licenziamenti proposti e deve consultare i rappresentanti dei lavoratori tempestivamente allo scopo di raggiungere un accordo. Nelle consultazioni devono essere esaminate le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento. L’Italia ha recepito la direttiva nella normativa nazionale con la legge n. 223 del 23 luglio 1991.

3. e 4. La Commissione non è in grado di valutare se una società privata ha rispettato le norme che attuano la direttive UE. Sono le autorità nazionali competenti, e in particolare i tribunali, che devono assicurare che le norme nazionali di attuazione delle direttive siano correttamente ed efficacemente applicate alla luce delle circostanze specifiche di ogni caso, e di garantire il rispetto dei doveri del datore di lavoro al riguardo.

A tale proposito un’attenzione particolare va al rispetto delle misure di attuazione della direttiva 98/59/CE del Consiglio che riguardano i licenziamenti collettivi, della direttiva 2002/14/CE(5) relativa all’informazione e alla consultazione dei lavoratori e della direttiva del Consiglio 94/45/CE(6), recentemente rafforzata, relativa ai comitati aziendali europei, che sembra la più rilevante in questo caso. In base alle informazioni di cui dispone la Commissione vi sono organizzazioni che rappresentano i datori di lavoro che devono essere informati e consultati sia nella società che negli impianti interessati e in tutta l’Unione europea

5. La direttiva 2002/73/CE(7) vieta qualunque discriminazione diretta o indiretta su tutti i punti relativi all’occupazione. La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 145 del 30 maggio 2005 che ha introdotto emendamenti alle leggi n. 125 del 10 aprile 1991 e 903 del 9 dicembre 1977. Al momento della valutazione dell’attuazione la Commissione ha considerato che le norme italiane pertinenti sulla proibizione di ogni discriminazione diretta e indiretta sono conformi alla direttiva. I cittadini che ritengono che i loro diritti non siano stati rispettati devono avvalersi degli strumenti di tutela previsti dalle norme nazionali.

6. L’Italia può, a nome dei lavoratori licenziati, presentare domanda di cofinanziamento al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per una serie di servizi coordinati e personalizzati destinati a reintegrare tali persone nel mercato del lavoro. Questi servizi, che devono promuovere politiche attive del mercato del lavoro, sono destinati unicamente ai lavoratori e non possono andare in alcun modo a beneficio delle imprese. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione può finanziare fino al 65 % del costo totale dei servizi, se questi rispettano i criteri fissati nel regolamento del Fondo e se sono approvati dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

(1) COM(2005)120 definitivo.
(2) CES, UNICE, UEAPME e CEEP «Orientations for reference in managing change and its social consequences» (Orientamenti di riferimento per la gestione dei cambiamenti e le loro conseguenze sociali), novembre 2003, presso http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=2750&langId=en.
(3) Si veda http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=782&langId=it.
(4) Direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, GU L 225 del 12.8.1998.
(5) Direttiva 2002/14/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori. Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sulla rappresentanza dei lavoratori, GU L 80 del 23.3.2002.
(6) Direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, GU L 254 del 30.9.1994.
(7) Direttiva 2002/73/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (testo rilevante ai fini del SEE), GU L 269 del 5.10.2002.