LE MANI DI TROPPI SULL’AFRICA

Parliamo
tutti, e molte volte in modo troppo superficiale, dei problemi legati alle
emigrazioni che portano, specialmente in Italia, migliaia di immigrati ogni
anno. Dette e ribadite le responsabilità dell’Unione Europea che, in tanti
anni, non è stata nella volontà e nella capacità sia di adottare una linea
comune, facendola  rispettare, che di occuparsi del continente africano in
modo corretto, sta di fatto che oltre alle guerre ed al terrorismo, che
distruggono interi territori e paesi, oltre alla siccità o alle invasioni di
cavallette, che portano carestia e fame, e a molti governi che sfruttano le
risorse naturali senza che ve ne sia vantaggio per le popolazioni sempre più
povere, i popoli africani sono in gran parte dedichi all’agricoltura. Un’agricoltura
che, mancando di acqua e di mezzi adeguati ad una coltivazione meno faticosa e
più redditizia, è un settore del quale ogni giorno questi popoli sono sempre un
po’ più privati. In circa 20 anni una grande quantità di terreni è stata ceduta
a capitali stranieri, come ricorda Domenico Quirico che, in un suo recente
articolo, parla di vendita o dell’affittanza a capitali stranieri di 35 milioni
di ettari (un ettaro sono 10.000 metri quadri di terra). I paesi che hanno
venduto o affittato più terreno alle multinazionali straniere sono Congo, Sudan,
Mozambico, Etiopia, e i veri padroni dell’Africa sono diventati gli investitori
cinesi, degli Emirati ma c’è anche una forte presenza statunitense e libanese. Le
multinazionali hanno comperato foreste per esportare legname creando così nuova
desertificazione e siccità e procurando problemi anche a quella fauna selvatica
che, attraverso il turismo, porta un po’ di denaro in Africa. Le società
straniere hanno acquistato terre per produrre mais, canna da zucchero,
biocarburante, prodotti che esportano al 90%, dove non hanno comperato i
terreni li hanno affittati per trenta o addirittura cinquanta anni con affitti
irrisori. I contadini locali sono scacciati per pochi soldi o addirittura
espropriati e praticamente costretti ad abbandonare i loro villaggi per essere
trapiantati altrove. Localmente quei contadini che sono assunti ricevono un
salario per pochi dollari al mese, un avventizio, kibarua, prende un dollaro al
giorno per lavorare nelle grandi serre della Tanzania dove ci sono più
coltivazioni all’anno di fiori recisi che vengono trasportati e venduti in
Europa con la conseguenza che è stata messa in ginocchio la floricoltura ligure
e della costa sud della Francia. Solo i tecnici prendono un salario adeguato ma
provengono quasi tutti dall’estero e le condizioni di lavoro, quando si è sotto
padrone cinese, sono molto dure. Quando poi il legname è finito e le foreste
sono state distrutte o il progetto agricolo non rende più a sufficienza i terreni
sono abbandonati esausti e agli africani non rimane nulla. Di questi gravi
problemi, e delle loro conseguenze anche in tema di emigrazione, non parla
nessuno: in Africa si continua a soffrire, chi riesce scappa a rischio della
vita e arriva da noi così i problemi si moltiplicano e qualcuno ci guadagna
sempre sulla pelle degli altri.