ISTITUZIONE DI UN TRIBUNALE ISLAMICO AD ANVERSA BASATO SULLA LEGGE DELLA SHARIA PER CONTROVERSIE RIGUARDANTI IL DIRITTO DI FAMIGLIA: POSSIBILE VIOLAZIONE DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-009450/2011


alla Commissione


Articolo 117 del regolamento


Roberta Angelilli (PPE), Gianni Pittella (S&D), Mario Mauro (PPE), Carlo Casini (PPE), Francesco Enrico Speroni (EFD), Mara Bizzotto (EFD), Crescenzio Rivellini (PPE), Erminia Mazzoni (PPE), Lara Comi (PPE), Oreste Rossi (EFD), Antonio Cancian (PPE), Giancarlo Scottà (EFD), Vincenzo Iovine (ALDE), Cristiana Muscardini (PPE), Claudio Morganti (EFD), Marco Scurria (PPE), Licia Ronzulli (PPE), Gabriele Albertini (PPE), Carlo Fidanza (PPE), Fiorello Provera (EFD), Potito Salatto (PPE), Mario Pirillo (S&D), Patrizia Toia (S&D), Lorenzo Fontana (EFD), Amalia Sartori (PPE), Giommaria Uggias (ALDE), Barbara Matera (PPE), Paolo Bartolozzi (PPE), Elisabetta Gardini (PPE), Andrea Zanoni (ALDE), Alfredo Pallone (PPE) e Antonello Antinoro (PPE)



Da quanto si apprende da fonti giornalistiche belghe (Het laatste nieuws, Rtl belgio, Le Vif, Skynet.be), su iniziativa di un gruppo radicale musulmano chiamato Sharia4Belgium è stato recentemente istituito ad Anversa (Belgio) un tribunale islamico conforme alla sharia.


L’intento dei fondatori sarebbe di creare un sistema giudiziario di tipo islamico finalizzato a risolvere le controversie relative al diritto di famiglia, quindi: il matrimonio, il divorzio, la custodia e il mantenimento dei figli e le questioni ereditarie, mettendo in discussione l’autorità dello Stato belga e i diritti garantiti dalla sua Costituzione, nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


Premettendo che la legge islamica della sharia non garantisce e non tutela in alcun modo la parità dei diritti tra uomini e donne, l’applicazione della stessa metterebbe a repentaglio i diritti delle stesse donne musulmane, tollerando prassi che nello Stato di diritto europeo sono considerate reati come la poligamia, i matrimoni forzati, oltreché i crimini d’onore.


Oltretutto, questo tribunale non rappresenta il primo caso d’imposizione della legge islamica in Europa, considerando che in Inghilterra un gruppo di fondamentalisti islamici ha proclamato il quartiere di Waltham Forest un emirato islamico in cui vige la legge della sharia.


Ciò premesso, può la Commissione rispondere ai seguenti quesiti:


1.    è al corrente della situazione suesposta e quali provvedimenti intende prendere in merito?


2.    Considera tale iniziativa contraria ai principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali, soprattutto nei confronti della protezione delle donne e dei bambini?


3.    È al corrente di altri casi di radicamento della legge islamica della sharia in Europa?


 


 



IT


E-009450/2011


Risposta di Viviane Reding


a nome della Commissione


(5.12.2011)


 


 


Sia la libertà di religione che la parità fra uomini e donne sono diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le cui disposizioni, in conformità dell’articolo 51, paragrafo 1, si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Il caso concreto cui fanno riferimento gli onorevoli parlamentari non sembra però riguardare azioni intraprese da uno Stato membro nel corso dell’attuazione della normativa dell’Unione europea. La Commissione ha espresso a più riprese la propria preoccupazione circa ogni tipo di abuso e violenza nei confronti delle donne e dei bambini e ha finanziato decine di progetti nell’ambito del programma Daphne a partire dalla sua creazione, nel 1997. Tale programma è volto alla prevenzione della violenza e degli abusi nei confronti di donne e bambini nell’Unione europea[1].


 


Riguardo al problema generale della legge islamica, la Commissione ricorda che la sharia è un concetto generale che comprende vari aspetti giuridici ed è oggetto di interpretazioni differenti tanto nei paesi dove viene applicata quanto tra gli esperti. La Commissione invita gli onorevoli parlamentari a prendere visione delle risposte da essa date alle interrogazioni scritte E‑1463/2011[2], E-7763/2011[3], ed E-8433/2011[4]. Inoltre, come già affermato nella sua risposta all’interrogazione scritta E-5271/2011[5], la Commissione mette seriamente in guardia contro eventuali stigmatizzazioni nei confronti di comunità religiose o etniche.






[1]     Cfr. il sito Internet “Daphne Toolkit”:


      http://ec.europa.eu/justice_home/daphnetoolkit/html/booklets/dpt_booklets_en.html



[2]          http://www.europarl.europa.eu/sidesSearch/sipadeMapUrl.do?L=IT&PROG=QP&SORT_ORDER=DAA&R         EF_QP=2011-1463&F_REF_QP=1463/2011&S_RANK=%&LEG_ID=7



[3]          http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+WQ+E-2011-007763+0+DOC+XML+V0//IT



[4]     Non ancora pubblicata.



[5]          http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=E-2011-005271&language=IT