Il massacro del Tamil

        Il quotidiano “Le Monde” del 29 e 30 maggio 2009 ha pubblicato due reportages  sulla tragica situazione del popolo Tamil in Sri Lanka, fornendo dati impressionanti sulle vittime e denunciando l’atteggiamento dei responsabili ONU che da un lato hanno nascosto l’ampiezza dei massacri compiuti dal governo di Colombo e dall’altro stanno facendo tacere i medici testimoni di tali massacri, ora incarcerati in un “sordido” centro d’interrogazione del Criminal Investigation Division. La popolazione civile è stata sottoposta a bombardamenti con armi pesanti ed i sopravvissuti sono stati inviati in campi di concentramento (300.000 persone). Dalla lettura dei due articoli si evince che l’ONU minimizza la tragedia, mentre i Tamil non trovano sostegno in patria (il loro deputato Kanagaratnam e 15 preti che aiutavano le vittime sono stati pure rinchiusi nei campi) e non trovano nemmeno chi li possa tutelare a livello internazionale. Nonostante le resistenze americane il Fondo Mondiale (FMI) presta 2 miliardi di dollari al governo di Colombo. E tutto ciò accade in un paese dove più di 60 agenti umanitari sono stati uccisi in tre anni, dove dei giornalisti conosciuti o dei difensori dei diritti umani sono correntemente prelevati in pieno giorno da uomini armati, talvolta per non riapparire più, dove la stessa stampa non si esprime su questi crimini. La Commissione 

1.   può dire che cosa fa l’Europa di fronte a questo genocidio?

 

2.   Come giustifica l’atteggiamento rinunciatario dell’ONU nel tutelare il popolo Tamil?

 

3.   Ha accesso ai campi di concentramento per sostenere i prigionieri con aiuti umanitari?

 4. Può fornire dati corretti sulla tragedia dei Tamil e informarne il Parlamento, con l’esposizione delle iniziative che intende intraprendere per garantire la loro tutela anche nei confronti dell’ONU?

 

Risposta data da Benita Ferrero-Waldner a nome della Commissione

Con la campagna militare contro le Tigri Tamil, il governo dello Sri Lanka ha dimostrato di voler risolvere con la forza il duplice problema del terrorismo e del separatismo nell’isola. Sia l’Unione europea (UE) sia le Nazioni Unite (ONU) hanno invitato ripetutamente entrambe le parti a rispettare i diritti umani dei civili durante il conflitto, e la comunità internazionale, compresa l’ONU, ha sempre fatto il possibile per cercare di avere accesso ai campi per gli sfollati interni. Entrambe hanno ribadito che il governo deve rispettare gli impegni presi riguardo al rilascio e al rimpatrio dei civili. L’UE ha fatto uso del suo dialogo politico con lo Sri Lanka per ripetere che la questione umanitaria e dei diritti umani deve essere affrontata il più rapidamente possibile.

Purtroppo non sono disponibili dati affidabili sul numero di civili colpiti in modo diretto o indiretto da questo aspro conflitto. La Commissione, tuttavia, sa che quasi 300000 sfollati sono ancora prigionieri nei campi e non hanno libertà di circolazione. L’UE ha esposto la sua posizione nelle conclusioni del Consiglio dell’8 maggio 2009, in cui chiede al governo dello Sri Lanka di prendere tutti i provvedimenti necessari per proteggere i civili posti sotto la sua giurisdizione e ha proposto di condurre un’indagine indipendente sulle presunte violazioni del diritto umanitario internazionale. Queste tematiche sono state affrontate anche al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel quale si è visto che la posizione dura dell’UE non avrebbe goduto di un vasto consenso da parte dei paesi in via di sviluppo.

L’opinione consolidata dell’UE è che nello Sri Lanka è possibile ottenere la sicurezza a lungo termine, la ricostruzione postbellica e la prosperità soltanto tramite un processo politico volto ad affrontare i problemi legittimi di tutti i cittadini, obiettivo che richiede la cooperazione attiva tra il governo e le altre comunità, tra cui il popolo Tamil.

Attraverso il suo ufficio ECHO per gli aiuti umanitari, la Commissione continua a fornire assistenza umanitaria e nel dialogo regolare con le autorità dello Sri Lanka invoca costantemente la libertà di circolazione degli sfollati, l’accesso illimitato ai campi per gli operatori umanitari e un processo di pianificazione del rientro più trasparente, conformemente alle norme internazionali. Il personale della Commissione ha accesso in modo irregolare ai campi per gli sfollati.