Droghe virtuali: serio pericolo o esagerato allarmismo?

Da qualche mese notizie riguardanti il fenomeno “I-Doser” rimbalzano da un mass media all’altro. Si tratta di un tipo di droga anomalo: non si fuma, non si ingerisce, né si inala, ma si ascolta. “I-Doser” è infatti in file mp3 scaricabile da Internet. Non si tratta di musica qualsiasi ma di particolari onde sonore che si basano sull’effetto binaurale dei suoni i quali stimolano il cervello su frequenze bassissime, dai 3 ai 30 hertz. Per far sì che la droga virtuale funzioni bisogna ascoltare questi file con le cuffiette, poiché pare che lo sballo sia causato dalla diversità di frequenza e da suoni impercettibili che, se ascoltati da un solo orecchio, non producono nessun effetto psichedelico. Le dinamiche commerciali sono simili a quelle del mercato tradizionale degli allucinogeni: si comincia con file offerti gratuitamente, per passare poi alla “somministrazione” a pagamento, con pratiche guide all’uso. Di questo nuovo tipo di cyber-droga pare si stiano occupando, oltre a parecchi ricercatori, anche le autorità di polizia italiane. Poiché però non è ancora stato scientificamente accertato quali danni possano arrecare i software come “I-Doser”, né se possano provocare dipendenza, sono in molti ad ipotizzare che si possa trattare di una frode telematica. Andando a vedere sui blog pare infatti che la maggior parte di coloro che hanno provato lo sballo virtuale siano rimasti delusi in quanto non hanno notato nessun effetto collaterale particolare se non irritabilità e un forte mal di testa.

  

La Commissione

  

1.   potrebbe chiarire, segnalando eventuali dati e studi scientifici, se si tratta di esagerato allarmismo, di una semplice trovata commerciale o se invece queste nuovi stupefacenti virtuali possono costituire un serio pericolo?

 2.    Quali iniziative intende proporre per controllare il fenomeno le cui vittime sono soprattutto i minorenni, maggiormente suggestionabili?

 

Risposta data da Leonard Orban a nome della Commissione

Da diversi anni, la Commissione ha sviluppato una strategia in materia di promozione e di insegnamento delle lingue. La più recente iniziativa, la comunicazione «Multilinguismo: una risorsa per l’Europa e un impegno comune»(1), indica come obiettivo principale la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti del valore e dei vantaggi della diversità linguistica dell’Unione europea. Questo obiettivo rientra nella prospettiva del dialogo interculturale. La comunicazione sottolinea inoltre l’obiettivo di Barcellona, strumento chiave per la diffusione delle conoscenze linguistiche in Europa.

La Commissione non trascura nessuna lingua e non pratica nessuna discriminazione linguistica. Tutte le lingue ufficiali dell’Unione vengono trattate con uguale rispetto dalla Commissione. Per quest’ultima, ogni lingua dell’Unione è un’espressione unica e preziosa delle culture che costituiscono la ricchezza dell’Europa e che sono la ragion d’essere della sua politica in favore del multilinguismo.

Il regime linguistico della Comunità è disciplinato dal regolamento n. 1/58 del Consiglio, del 15 aprile 1958(2). L’articolo 1 di tale regolamento(3), stabilisce che:

«Le lingue ufficiali e le lingue di lavoro delle istituzioni dell’Unione europea sono la lingua tedesca, la lingua inglese, la lingua bulgara, la lingua danese, la lingua spagnola, la lingua estone, la lingua finlandese, la lingua francese, la lingua greca, la lingua ungherese, la lingua irlandese, la lingua italiana, la lingua lettone, la lingua lituana, la lingua maltese, la lingua olandese, la lingua polacca, la lingua portoghese, la lingua rumena, la lingua slovacca, la lingua slovena, la lingua svedese e la lingua ceca».

L’articolo 6 del regolamento n. 1/58 del Consiglio precisa inoltre quanto segue:

«Le istituzioni possono determinare le modalità di applicazione di tale regime linguistico nei loro regolamenti interni».

È in totale conformità con tale prescrizione che la Commissione ha scelto di utilizzare tre lingue nelle sue procedure interne di adozione, al fine di garantire l’efficacia necessaria per proporre testi legislativi e altri documenti politici. Terminata questa fase interna, gli stessi documenti vengono poi tradotti in tutte le lingue ufficiali dell’UE, a testimonianza della completa uguaglianza delle lingue dell’UE senza alcun rapporto con il numero di lettori ovvero con il peso «presunto» di questo o di quel paese. Peraltro, nel quadro di tali politiche, programmi e azioni, la Commissione sostiene gli sforzi per la promozione delle lingue dell’UE.

 

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(1) COM(2008)566 def.
(2) CEE Consiglio: Regolamento n. 1 riguardante la definizione del regime linguistico della Comunità economica europea, GU 17 del 6.10.1958.
(3) Così come modificato dal regolamento (CE) n. 920/2005 del Consiglio, del 13 giugno 2005, nonché dal regolamento (CE) n. 1791/2006 del Consiglio, del 20 novembre 2006. I regolamenti (CE) n. 920/2005 del Consiglio, del 13 giugno 2005, e (CE) n. 1791/2006 del Consiglio, del 20 novembre 2006, modificano il regolamento n. 1 del 15 aprile 1958 che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea e il regolamento n. 1 del 15 aprile 1958 che stabilisce il regime linguistico della Comunità europea dell’energia atomica e che introduce misure temporanee in deroga a tali regolamenti, GU L 156 del 18.6.2005.