Da un rapporto stilato nel 2012 da Laogai
research foundation Italia onlus i
laogai, ovvero campi di lavoro cinesi, sarebbero più di 1000 con un numero di
detenuti che oscilla dai 3 ai 5 milioni costretti a lavorare 16-18 ore al
giorni per produrre di tutto a beneficio di multinazionali di varia natura,
comprese quelle alimentari. Secondo alcune inchieste fatte dalla fondazione
suddetta, che ha lanciato l’allarme in diverse sedi istituzionali e umanitarie,
sulle nostre tavole arriverebbero, oltre ai pomodori cinesi, grandi quantità
di triplo concentrato di pomodoro
dai laogai del Xinjiang che verrebbero trasformate da alcune aziende del
settore agroalimentare italiano, anche note, facendo passare il prodotto finito
come ‘made in Italy’.
La Commissione che in più occasioni e con motivazioni diverse è stata
interrogata sulle questioni legate ai laogai:
- è a conoscenza di denunce
simili arrivate dagli altri Stati membri? Se sì quali sono state le misure
adottate dai governi per tutelare consumatori e filiera alimentare?
- Non crede che debba vietare
definitivamente, come Sati Uniti e Canada, l’ingresso in Europa di ogni
prodotto proveniente dai laogai in quanto ‘lavorato’ in veri e propri
campi di concentramento?
- Un alimento spesso è
acquistato anche perché evoca le immagini del luogo di provenienza. Non
ritiene che il regolamento sul marchio d’origine diventi una necessità per
garantire al consumatore anche la possibilità di scegliere in sicurezza la
zona di origine di un prodotto?
- Non ritiene necessario un
maggiore controllo nei confronti di aziende che importano dalla Cina
materiali vari, compreso quello alimentare, per proibire quelli che
vengono prodotti nei laogai?
IT
E-000675/2014
Risposta di Karel De Gucht
a nome della Commissione
(18.3.2014)
1. La Commissione
non è a conoscenza delle denunce menzionate.
2. e 4. Per quanto concerne il
divieto di prodotti a motivo delle condizioni lavorative in cui vengono fabbricati,
la Commissione
rinvia l’Onorevole deputata alla propria risposta all’interrogazione scritta
2019/2013. Inoltre, la
Commissione rammenta le difficoltà in tema di tracciabilità
delle condizioni di lavoro come nel caso del lavoro forzato. Per quanto concerne
il ruolo svolto dalle imprese, la Commissione promuove attivamente pratiche
commerciali responsabili tra cui il rispetto dei principi e degli orientamenti
riconosciuti sul piano internazionale in tema di responsabilità sociale delle
imprese, in cui rientrano anche le condizioni di lavoro.
3. Norme specifiche in tema di etichettatura d’origine esistono già per le carni
bovine, suine, ovine e caprine, per il pollame, la frutta e la verdura, l’olio
d’oliva, il vino, il miele e le uova. Per quanto concerne le regole generali, la Commissione rinvia l’Onorevole
deputata al regolamento
1169/2011[1],
il quale stabilisce anche che, entro il 13 dicembre 2014, la Commissione deve
presentare relazioni al Parlamento europeo e al Consiglio sull’indicazione obbligatoria
del paese d’origine o sul luogo di provenienza per altri tipi di carni, il
latte e il latte usato quale ingrediente nei prodotti lattiero caseari, gli
alimenti non trattati, i prodotti monoingrediente, gli ingredienti che rappresentano
più del 50 % di un alimento, in cui rientrano pertanto i pomodori trasformati.