COMMERCIO PRODOTTI PROVENIENTI DAI LAOGAI

Interrogazione
con richiesta di risposta scritta E-005931/2012

alla
Commissione

Articolo 117 del regolamento

Elisabetta Gardini (PPE), Gabriele Albertini (PPE),
Roberta Angelilli (PPE), Paolo Bartolozzi (PPE), Mara Bizzotto (EFD), Antonio
Cancian (PPE), Sergio Gaetano Cofferati (S&D), Lara Comi (PPE), Carlo
Fidanza (PPE), Lorenzo Fontana (EFD), Mario Mauro (PPE), Erminia Mazzoni (PPE),
Claudio Morganti (EFD), Cristiana Muscardini (PPE), Fiorello Provera (EFD),
Oreste Rossi (EFD), Licia Ronzulli (PPE), Marco Scurria (PPE), Sergio Paolo
Francesco Silvestris (PPE) e Andrea Zanoni (ALDE)

Da oltre
sessant’anni in Cina, milioni di persone, uomini, donne e bambini vengono
segregati nei laogai, costretti al lavoro forzato in condizioni disumane, di
denutrizione o tortura e schiavismo.

Secondo
alcune associazioni queste prigioni mascherate da industrie sarebbero più di
mille e si calcola che fino ad oggi vi siano stati reclusi almeno 50 milioni di
individui.

Dietro a
queste strutture si nascondono forti interessi economici del governo cinese o
delle multinazionali straniere che producono in Cina. Basti pensare che secondo
la “Laogai Research Foundation” il costo del lavoro cinese
rappresenta il 5% del costo del lavoro nell’Unione europea.

Inoltre,
dal momento che queste strutture offrono un’immensa forza lavoro a costo zero,
la produzione al loro interno è in continua crescita.

Alla
luce di quanto precede, può la
Commissione far sapere:

1.    Se non ritiene opportuno valutare questa
drammatica situazione di lavoro forzato e di completa violazione dei diritti
umani prima di procedere nei negoziati per la semplificazione dei controlli
doganali con la Cina?

2.    Quali misure possono essere adottate
dall’Unione europea per contrastare questo business immorale?

E-005931//2012

Risposta dell’Alta
rappresentante/vicepresidente Catherine Ashton

a nome della Commissione

(8.8.2012)

 

 

L’UE è dell’avviso che l’esistenza del
sistema di rieducazione attraverso il lavoro in Cina costituisca una violazione
delle pertinenti disposizioni del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici e ha ripetutamente esortato la Cina ad adottare le opportune
riforme, come è accaduto recentemente il 20 maggio 2012 in occasione del
dialogo UE-Cina sui diritti dell’uomo.

 

Nel 2011 la Commissione ha
istituito un gruppo interservizi per esaminare la risposta dell’UE alla pratica
dei lavori forzati negli istituti di pena dei paesi terzi. Il gruppo è
impegnato ad ottenere un quadro il più chiaro possibile dei luoghi in cui
(oltre ai noti casi in Cina e Myanmar) questa pratica verrebbe utilizzata per
la produzione destinata all’esportazione. A questa attività partecipano anche
ambasciate degli Stati membri, organizzazioni internazionali e organizzazioni
non governative. A tal riguardo la Commissione rinvia alla sua risposta alle precedenti
interrogazioni scritte E-010606/11 ed E-010839/11[1]. La Commissione non
esclude la possibilità di introdurre un divieto alle importazioni per i
prodotti fabbricati con il lavoro forzato dei detenuti, a condizione che tale
misura risulti fattibile ed efficace.

 

La Commissione esorta gli importatori e le imprese dell’UE ad applicare
elevati standard in materia di responsabilità sociale delle imprese per evitare
l’impiego di detti prodotti.



[1]     http://www.europarl.europa.eu/plenary/en/parliamentary-questions.html?tabType=wq#sidesForm.