WOMEN & TECHNOLOGIES: I punti dell’intervento dell’onorevole Muscardini

        

 “LE DONNE E LE TIC IN EUROPA”nell’ambito del convegno“DONNA & TECNOLOGIE: RICERCA E INNOVAZIONE”Milano Convention Centre – Via Gattamelata, 5 – 8 settembre 2008

  

Ogni qualvolta si discute del rapporto tra il mondo femminile e le tecnologie si rischia di incorrere in una serie di generalizzazioni e di luoghi comuni; l’elenco dei pregiudizi correnti è lungo e gli stereotipi che vengono spesso presentati dalla pubblicistica  giornalistica sono numerosi.. L’approccio di genere facilita questo rischio, anche se non possiamo far finta di ignorare le differenze tra uomo e donna. Che queste svolgano un ruolo nel digital divide è tutto da dimostrare, mentre è palese, invece, l’influenza della cultura nel gap che separa ancora i due generi, non solo nel settore delle tecnologie. C’è da chiedersi allora se si fa tutto il possibile per superare questa inaccettabile situazione che, pur con ritmi diversi da settore a settore, sta orientandosi verso la giusta direzione della parità.

Una buona notizia in questo senso ci è stata fornita lo scorso anno dalla responsabile della Commissione europea per la Società dell’Informazione e per i Media: “Le donne costituiscono la maggioranza di tutti i laureati in Europa, e questo dato è in crescita! La partecipazione di donne laureate in tutte le materie è salita dal 55% nel 1998 al 58% nel 2004”. C’è stato un incremento di laureati anche nelle materie correlate alla Tecnologia dell’Informazione. Da 60 mila nel 1998, il numero dei laureati in studi informatici, nei 27 Stati dell’Unione europea, è cresciuto a 137 mila nel 2004, con un incremento totale del 128 per cento.  

Nonostante questa forte crescita, però, il personale qualificato dotato di una corretta educazione e formazione in questo settore, è ancora insufficiente, lasciando insoddisfatti i bisogni di crescita e di miglioramento. Rispetto al resto del mondo, l’Europa sta ferma, non cresce. Nel 1998 l’UE a 27 e gli Stati Uniti avevano una uguale proporzione di laureati in informatica, circa il 2,2% di tutti i laureati, mentre in Corea il valore era dell’1 per cento. In Europa questa proporzione è cresciuta raggiungendo il 4 per cento fino al 2004, mentre è arrivata al 5 per cento negli Stati Uniti ed al 6 per cento in Corea. L’UE ha perso colpi ed il divario è più che evidente. 

Non solo, quindi, l’Europa ha bisogno di più persone impegnate nel settore della Tecnologia dell’Informazione, ma essa necessita di una maggiore presenza femminile, poiché nel 2004 solo il 29% degli scienziati ed ingegneri erano donne, nonostante esse costituiscano la maggior parte di tutti i laureati. A ciò si aggiunge che nel settore impiegatizio solo un sesto è rappresentato da donne e che la crescita del numero di laureati nelle materie correlate all’Informatica è prevalentemente costituito da uomini. Dal 1998 al 2004, rispetto alla crescita totale del numero di laureati in studi informatici, il numero degli uomini è aumentato del 138%, mentre quello delle donne soltanto del 100%. Ciò significa che la proporzione di donne laureate in informatica è in effetti diminuita (dal 25% circa del 1998 è passata al 22% circa del 2006.) e che il divario fra donne e uomini laureati sta crescendo, nonostante le ottimistiche indicazioni di aumento totale cui abbiamo fatto cenno all’inizio. 

Invertire la tendenza risulta un impegno dell’Unione europea, non tanto e non solo, per ragioni di pari opportunità, ma anche per ragioni economiche e di mercato. E’ indubbio che la presenza femminile nel settore TIC rappresenta un ulteriore incentivo alla creatività e un maggiore apporto d’ingegno, mentre la sua assenza conferma una perdita di risorse e di talento. Ma come invertire la rotta? Come giungere ad aumentare il numero delle donne presenti ai più alti livelli di dirigenza? Sono sufficienti i progetti, alcuni dei quali già sperimentati, per portare più donne nel TIC? In che modo e in che misura le società del settore possono collaborare con le istituzioni per invertire la tendenza ed avviare più donne agli studi informatici? Chi può confermare se la tendenza attuale è la conseguenza di una cultura ottocentesca che persiste, oppure il risultato di un insieme di fattori, compresi quelli della disparità economica, che penalizza le donne e quindi le disincentiva dell’intraprendere studi informatici? L’educazione e la formazione non sono di stretta competenza comunitaria. L’UE può sollecitare, suggerire, indirizzare. Gli Stati membri possono collaborare ed armonizzare le loro iniziative con le indicazioni proposte dall’Unione. Le società e le compagnie TIC europee, le università e i centri di ricerca dovrebbero collaborare efficacemente per colmare il divario che abbiamo denunciato e per fronteggiare l’esigenza di competere mediante la ricerca e l’innovazione. La presenza femminile è una conditio sine qua non per vincere la sfida tecnologica globalizzata e per permettere al mondo delle TIC di usufruire di quelle peculiarità che sono proprie delle natura e della sensibilità femminili, le quali non disgiungono mai la scienza dalla vita, contrariamente a quanto avviene per gli uomini. Con quali strumenti ed azioni è possibile modificare la cultura corrente e renderla protagonista intelligente di una visione del mondo che tenga conto della tutela della dignità della persona, più che del meccanico progresso tecnologico?  

Permettetemi un’osservazione finale a proposito di peculiarità femminile: mi domando se la sua presenza nel mondo delle tecnologie ed il ruolo che vi potrà svolgere, potrà contribuire veramente a riformare il senso del progresso che le stesse tecnologie dovrebbero essere in grado di promuovere. Se ricerca, innovazione e competitività rappresentano un progresso significante più vendite e quindi un maggior numero di utilizzatori, il tutto si ridurrebbe ad una pure operazione economica, il cui valore non è da sottovalutare, operazione che avrebbe tra l’altro le sue positive ricadute sociali (più occupazione, più formazione, più conoscenze). Ma che senso avrebbe dotare di telefonini e di computer tutte le bambine africane, se poi questo progresso tecnologico non riuscisse a sottrarne nemmeno una alla barbara tradizione della mutilazione genitale? Che senso avrebbe conseguire la stessa operazione per i minori italiani se poi non si fosse in grado di salvarne qualcuno dei 1.600 che nel 2006 sono scomparsi nel nulla, fagocitati dai pedofili, dai trafficanti d’organi, dalla criminalità? In altri termini – e non è un parlar d’altro – se non diamo un altro valore al progresso, compreso quelle delle TIC, tutte le soluzioni, anche le più brillanti, rimarranno nell’ambito di una concezione puramente positivista della vita e contribuiranno poco a tutelare la dignità della persona ed i suoi valori intrinseci. Più donne nelle TIC potrebbe significare anche questo  nuovo corso? O è una bestemmia laica?