Libertà civili e poligamia

La libera circolazione delle persone solleva questioni che per ora sono di pertinenza degli Stati membri. Per taluni, eliminare ogni ostacolo alla libera circolazione comporterebbe anche la scomparsa di una serie di divieti – previsti dalle leggi per motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico – con un particolare riconoscimento senza remore anche di terze e quarte mogli. Richiedere l’abbattimento delle remore al riconoscimento di terze e quarte mogli può sembrare un mezzo per non creare problemi ai pluriseparati, in realtà sancisce la possibilità per un immigrato che ottenesse la cittadinanza di farsi raggiungere da più mogli, sancendo così, di fatto, la possibilità della poligamia in Europa.  La considerazione che la poligamia è il prodotto di una cultura, anziché essere una comoda ed interessata scelta maschilista, equivale a quanto ipocritamente si afferma per le MGF, vale a dire tradizione culturale anziché non rispetto del diritto della donna all’integrità fisica e psichica.

  

La Commissione

  

1.      non ritiene che tali richieste siano inerenti al diritto di famiglia, al diritto penale,  all’ordine pubblico e sociale, che concernono materia di esclusiva pertinenza degli Stati membri?

2.      Non pensa che la poligamia non debba essere considerata una libertà civile in Europa? 

3.      Non considera opportuno, anche alla luce di fatti incresciosi avvenuti recentemente, che ogni Paese, pur rispettando linee guida comuni, possa liberamente decidere alcune restrizioni alla libera circolazione (soprattutto in merito alla sicurezza pubblica) in applicazione del principio della sussidiarietà?  

4.      E’ consapevole dell’implicazione etica e giuridica di un provvedimento, che di fatto sancisce la legittimità della poligamia, storicamente interdetta dalla tradizione civile e giuridica europea? 

5.      Non considera invece necessario dichiarare esplicitamente il divieto di poligamia sul suolo dell’Unione?  

 

Risposta data da Jacques Barrot a nome della Commissione

Le questioni sollevate dall’onorevole parlamentare non rientrano fra le responsabilità della Commissione. Per quanto riguarda il punto tre, che è l’unica eccezione, la Commissione fa presente che il diritto comunitario non richiede agli Stati membri di riconoscere a pieno titolo i matrimoni poligami contratti legalmente in un paese terzo che possono entrare in conflitto con il proprio ordinamento giuridico(1). Ciò è coerente con l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Quando si esaminano i diritti dei minori nati da matrimoni poligami, si deve sempre tener in debito conto l’interesse superiore del minore.

L’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare(2) per i cittadini di paesi terzi, stabilisce esplicitamente che «in caso di matrimonio poligamo, se il soggiornante ha già un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro, lo Stato membro interessato non autorizza il ricongiungimento familiare di un altro coniuge».

 

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(1) Caso Alilouch El Abasse contro Paesi Bassi, sentenza della CEDU del 6 gennaio 1992.
(2) Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto di ricongiungimento familiare (GU L 251 del 3.10.2003).