La Commissione
1.
Riesce ad immaginare lo stato d’animo dei risparmiatori
spagnoli clienti di Bankia quando il 28 maggio scorso le azioni che avevano
ricevuto in cambio dei loro depositi hanno perso il 50% del valore di
emissione, assistendo all’andata in fumo, dalla mattina alla sera, di miliardi
di risparmi?
E’ l’effetto
del bail-in, hanno saputo dopo, cioè
di quell’espediente contabile che le banche ormai utilizzano al fine di
aumentare il loro capitale e consiste nel convertire asset della banca (azioni,
obbligazioni subordinate, immobilizzazioni, crediti) in capitale ordinario.
2.
E’ questo il sistema di salvataggio bancario in serbo per
tutti i sudditi della zona Euro, essendo il bail-in uno dei pilastri
dell’Unione Bancaria?
3.
Ha un’idea di quel che potrebbe succedere nei Paesi
dell’UE quando gli elettori (si voterà fra meno di un anno) cominceranno a
capire quali intenzioni si celano dietro il piano dell’Unione bancaria, vale a
dire il fatto che si tratta di un marchingegno per utilizzare i soldi dei
risparmiatori per salvare gli speculatori?
4.
Non teme che questo meccanismo rappresenti una
perversione di fondo che rischia di aumentarne in modo esponenziale gli effetti
sistemici?
5.
Non dubita che il sistema, mai riformato, stia ricevendo
colpi mortali e si appresti a far scoppiare la bolla, segnalata dalla fuga dai
titoli di Stato americani, come effetto della politica di espansione monetaria?
IT
E-006453/2013
Risposta di Olli Rehn
a nome della Commissione
(9.7.2013)
La Commissione segnala che
il bail-in non consiste nel convertire gli attivi bancari in capitale ordinario
come sostenuto nell’interrogazione, bensì nel convertire le passività delle
banche in azioni. I creditori delle banche, ossia i titolari di debito
subordinato, diventano in tal modo investitori permanenti.
Il bail-in del
debito subordinato può infatti garantire una capitalizzazione corretta e
contribuire a ripristinare la fiducia nel sistema bancario. Può inoltre evitare
il ricorso a ricapitalizzazioni finanziate dallo Stato (o tende almeno a
ridurne al minimo la necessità), contribuendo così a limitare eventuali aumenti
futuri del debito pubblico e della pressione fiscale. Nel complesso ciò
consente di evitare la soluzione altamente indesiderabile della liquidazione
degli istituti finanziari che produce ripercussioni negative sui depositanti e
sull’economia in generale.