Costo energia e delocolazzazioni

Quello della Cartiera di Besozzo, in provincia di Varese, (la società svedese Munskjo la vuole trasferire in Spagna) è l’ultimo caso di delocalizzazione in ordine di tempo, che si presenta nel Nord d’Italia. Prima ci sono stati quello di Mantova (la Sogefi si trasferisce in Belgio) e quello di Lecco (la Riello va a finire in Polonia). La Cartiera della Valtellina di Tirano in provincia di Sondrio è addirittura costretta chiudere. La causa è sempre la stessa: alto costo dell’energia, che non rende competitive le imprese. A parte i danni all’economia locale, la questione più grave è rappresentata dalla crisi sociale: centinaia di lavoratori rimangono senza salario e centinaia di famiglie senza reddito; è una situazione che si ripercuote negativamente nei comuni, sul territorio dei quali sorgono queste imprese.

Non esistendo ancora una politica comune dell’energia, che probabilmente eliminerebbe il problema alla radice, non potendo immaginarsi una rapida riforma strutturale della produzione energetica nazionale italiana, potrebbe la Commissione precisare:

Se non crede opportuno promuovere la realizzazione di progetti di centrali a gas, di modeste dimensioni, ma che possono offrire energia a zone industriali locali a costi ridotti.
Se le suddette imprese che de-localizzano hanno ricevuto, a vario titolo, contributi dell’Unione.
Quali iniziative può suggerire per contribuire a far fronte alla grave situazione sociale che si presenta nei comuni interessati dalle de-localizzazioni?
18 settembre 2008  
Risposta data da Danuta Hübner a nome della Commissione
Interrogazioni scritte : E-3065/08 , P-3481/08

La Commissione è a conoscenza dei problemi derivanti dalle differenze di prezzo dell’elettricità nell’UE. Per questo motivo essa si sforza di promuovere un mercato energetico concorrenziale e liberalizzato. In tal senso, nel settembre del 2007 ha proposto un insieme di misure denominato «Terzo pacchetto» per l’elettricità e il gas. Il completamento del processo di liberalizzazione e la creazione di un mercato energetico europeo veramente integrato eserciteranno una pressione al ribasso sui prezzi dell’energia per gli utenti e potranno ridurre le differenze di prezzo all’interno dell’UE.

Per quanto riguarda l’installazione di centrali elettriche (a gas o altro), la Commissione ritiene che essa debba innanzitutto rispondere a una logica di mercato. Negli ultimi anni sono state inaugurate in Italia numerose centrali a gas che permettono di compensare in parte il deficit cronico di elettricità che il paese deve affrontare.

Parallelamente esistono numerosi progetti alla cui base vi sono utenti che vogliono costruire una propria centrale per ridurre i loro costi di approvvigionamento di energia e la loro dipendenza nei confronti dei fornitori di elettricità. La Commissione accoglie con favore queste iniziative basate sul mercato.

La Commissione è anche favorevole ai progetti che comportano un risparmio energetico o la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, che possono quindi beneficiare di un contributo pubblico conformemente alle norme sugli aiuti di Stato.

Ad esempio, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) può finanziare piccole centrali a gas se contribuiscono ad economizzare energia con la generazione combinata di energia e di calore. Va inoltre sottolineata la possibilità di sfruttare pienamente il potenziale endogeno delle fonti energetiche rinnovabili (energia geotermica, microidroelettrica e biomasse).

Inoltre, nell’ambito dei programmi operativi per il periodo 2007-2013 cofinanziati dal FESR, l’Italia ha stanziato 3,8 miliardi di euro per le fonti energetiche rinnovabili e per l’efficienza energetica. In particolare, il programma operativo regionale del FESR per la Lombardia stanzia 50 milioni di euro per la stessa priorità tematica, che rappresenta il 9 % degli stanziamenti totali alla regione.

Per quanto riguarda il problema generale delle delocalizzazioni delle imprese, la Commissione ricorda che non ha alcuna autorità per impedire o rinviare le decisioni di una singola impresa e che le imprese non hanno alcun obbligo generale di informare la Commissione in merito ai motivi delle loro decisioni.

La Commissione è consapevole delle conseguenze negative che la chiusura di un’impresa può comportare per i lavoratori, le loro famiglie e la regione. Tuttavia, essa non può intervenire nel processo decisionale delle imprese, salvo in caso di violazione della normativa comunitaria. A tale proposito va sottolineato che il quadro normativo comunitario prevede una serie di norme relative alla giustificazione e alla corretta gestione delle ristrutturazioni, in particolare la direttiva 98/59/CE sui licenziamenti collettivi(1), la direttiva 2001/23/CE sui trasferimenti di imprese(2), la direttiva 94/45/CE sul comitato aziendale europeo(3), la direttiva 2002/74/CE CE sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro(4) e la direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori(5).

Tali direttive prevedono in particolare la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al processo di ristrutturazione e cercano di promuovere un metodo volto ad anticipare i cambiamenti e ad incoraggiare la cooperazione nell’affrontarli. Spetta alle autorità nazionali competenti, in particolare ai tribunali, garantire l’applicazione corretta ed efficace delle norme di recepimento nazionali, in considerazione delle circostanze specifiche di ciascun caso, e garantire il rispetto degli obblighi del datore di lavoro a tale riguardo.

Nel quadro della politica di coesione sono state previste disposizioni particolari per poter recuperare la partecipazione comunitaria concessa a imprese che si sono delocalizzate nei cinque anni successivi (l’articolo 57 del regolamento (CE) n. 1083/2006(6) del Consiglio, dell’11 luglio 2006, per il periodo 2007-2013 e l’articolo 30, paragrafo 4 del regolamento (CE) n. 1260/1999(7) del Consiglio, del 21 giugno 1999, per il periodo 2000-2006). Spetta in primo luogo agli Stati membri assumere la responsabilità finanziaria delle operazioni ed eventualmente recuperare le somme indebitamente versate. Gli Stati membri e la Commissione controllano affinché le imprese soggette a una procedura di recupero in seguito alla delocalizzazione di un’attività di produzione all’interno di uno Stato membro o verso un altro Stato membro non fruiscano di un contributo dei Fondi strutturali.

Per quanto riguarda le imprese alle quali fa riferimento l’onorevole parlamentare (la Cartiera di Besozzo in provincia di Varese, la Sogefi di Mantova, la Riello di Lecco e la Cartiera della Valtellina di Tirano in provincia di Sondrio), le autorità italiane, belghe, spagnole e polacche hanno informato la Commissione che esse non hanno ottenuto alcun contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Per quanto riguarda il progetto NEREA, in particolare, la Regione Lombardia ha informato la Commissione che essa non ha beneficiato di alcun contributo del FESR.

Due delle quattro imprese menzionate dall’onorevole parlamentare hanno invece ottenuto dalla Regione Lombardia finanziamenti del Fondo sociale europeo (FSE) nel corso del periodo di programmazione 2000-2006. In particolare,

la Sogefi Filtration Spa (Mantova) ha ottenuto fra il novembre 2001 e l’aprile 2004 un finanziamento per quattro progetti «di formazione» (66 918,25 EUR) e 27 voucher d’impresa (21 327 EUR) per un totale di 88 245,25 EUR;
la Cartiera della Valtellina Spa di Tirano (Sondrio) ha ottenuto un finanziamento per un progetto «di formazione» (15 554,07 EUR), concluso nel settembre 2006.

Il rispetto delle disposizioni regolamentari previste deve essere verificato dalle autorità di gestione interessate.

Per quanto riguarda gli eventuali altri aiuti ricevuti dalla società Munskjö altrove in Europa, la Commissione non è in grado di fornire tali dati. Essa non dispone infatti di informazioni dettagliate per ciascuna impresa in tutti gli Stati membri e ritiene che la ricerca lunga e costosa necessaria per fornire l’informazione richiesta all’onorevole parlamentare rappresenterebbe un carico di lavoro eccessivo rispetto alle risorse disponibili.