AN, UNA ALLEANZA PER L’ITALIA: ECCO LA SFIDA DEL FUTURO

Di seguito il documento di An elaborato in vista della Conferenza nazionale di Milano dell’8, 9 e 10 febbraio. Il presidente Gianfranco Fini lo ha inviato ai coordinatori regionali, ai presidenti provinciali, all’esecutivo nazionale e ai parlamentari nazionali ed europei, raccomandando «di estendere il confronto anche al di fuori di An, sia ai partiti del centrodestra sia ad associazioni, parti sociali, movimenti, categorie», con l’obiettivo di coinvolgere la più ampia parte possibile della società nella definizione del manifesto per “Un’Alleanza per l’Italia”.

An: il partito degli Italiani
A quarant’anni dalla contestazione del 1968 l’Italia risente ancora degli effetti negativi di quella stagione. Da allora valori essenziali sono stati negati, come l’identità culturale della nazione, il merito, la legalità, la famiglia. È necessario rialzare la testa, rompere i luoghi comuni del politicamente corretto, ridare un senso, un’appartenenza, una voglia di futuro alla nostra comunità nazionale. Senza queste premesse nessun progetto politico servirebbe. Il fallimento del peggior governo della storia italiana potrebbe presto riportarci alla guida dell’Italia, ma ad An non interessa un ritorno al potere per recuperare ruoli o posti. Vogliamo ricostruire il tessuto profondo della nostra Italia. Vogliamo creare una grande Alleanza per l’Italia, che agisca nell’immediato ma guardi al futuro, per ridare speranza, per uscire dalla sindrome di chi pensa a un’Italia priva di prospettive e relegata ai margini della Storia. An vuole essere il partito degli italiani responsabili, consapevoli delle proprie radici, capaci di fare appello alla propria tradizione identitaria per reagire a un declino che non è affatto ineluttabile.

Alleanza per l’Italia: ripartire dall’identità nazionale. L’Italia, prima ancora di risultare una nazione fragile nelle sue strutture politiche e sociali, risulta essere in crisi nelle sue radici culturali e morali. Senza cultura di riferimento nessuna politica che voglia avere un respiro lungo è possibile: per questo è essenziale costruire una Alleanza per l’Italia che parta dai valori della destra politica. Un’Alleanza rivolta al cambiamento della società italiana, al suo miglioramento senza velleitarismi occasionali, a renderla partecipe e protagonista dei grandi mutamenti in atto, ma preservandola, al tempo stesso, dalla tentazione della fuga dalla sua stessa identità storica e culturale. Ecco perché il radicamento identitario è il primo passo della costruzione del partito degli Italiani. Un progetto politico culturale, che passa attraverso la riaffermazione del Modello Italiano che deriva dalla nostra storia, dalla nostra cultura e dalla nostra identità e che deve dare consapevolezza creativa alle nuove generazioni e a tutta la società. In questa prospettiva è necessario comunicare la volontà del cambiamento ai cittadini, la capacità di elaborare un progetto come “valore distintivo”, la determinazione in quelle scelte che derivano da una autentica etica della responsabilità. L’Italia sconta gli effetti di una globalizzazione non governata, cullata sull’illusione trionfalistica che un fenomeno di tale portata potesse essere lasciato sedimentare senza politiche di controbilanciamento, senza governo, senza una cultura dell’interesse nazionale. Ecco perché la mancata modernizzazione del Sistema-Italia si scontra, oggi, con l’incapacità di governare e affrontare la globalizzazione, sia le sue positive opportunità che le sue insidie. Le problematiche sono multiformi, partono da un’integrazione europea fortemente dominata da logiche tecnocratiche e dalle dinamiche incontrollate del commercio mondiale. Nazioni che posseggono grandi risorse finanziarie grazie all’esplosione incontrollata dei prezzi energetici e a sviluppi economici dominati da regimi totalitari hanno costituito “fondi sovrani”, che fanno shopping di aziende e industrie, anche in Italia. Questo pone un problema di difesa degli interessi strategici economici nazionali. In questo scenario la destra politica con una chiara assunzione di responsabilità vuole declinare un progetto che leghi modernizzazione e interesse nazionale e che punti a un positivo inserimento del nostro Paese nell’integrazione europea e in una globalizzazione governata. Un progetto di riscatto nazionale, articolato in punti chiari e irrinunciabili, per realizzare i quali è necessario avere più destra nel centrodestra. Da queste premesse partono le grandi battaglie dell’Alleanza per l’Italia:

1. Il valore della vita e la dignità della persona come fondamento della Nuova Italia. Con il governo Prodi si sono intensificate, su impulso delle forze più a sinistra dell’Unione, iniziative ostili all’integrità della persona. In particolare:
Dall’inizio della legislatura il Senato è stato impegnato nella discussione di vari disegni di legge che, col pretesto di combattere l’accanimento terapeutico – punto sul quale vi è consenso unanime – in realtà, nell’ottica di larga parte della sinistra, mirano a introdurre l’eutanasia, pur mascherandola sotto il nome di testamento biologico o di dichiarazione anticipata di trattamento. Va, invece, percorsa con decisione la via del non abbandono del paziente affetto da patologie gravi – con adeguate cure palliative e con una effettiva e adeguata assistenza – e dell’aiuto alla sua famiglia, con un impegno che passa dal servizio sanitario e dai servizi sociali e, quindi, chiama in causa le Regioni e gli enti territoriali.
Invece di sostenere la famiglia utilizzando le risorse dell’extragettito, il governo Prodi si è reso promotore dell’iniziativa legislativa dei cosiddetti “dico”. Non vi è alcuna necessità di avallare questa cambiale ideologica, che è tale perché larghissima parte dei cosiddetti “diritti individuali” dei componenti di una convivenza trovano già ampia tutela nell’ordinamento. L’ultima cosa di cui ha bisogno l’Italia è una ulteriore penalizzazione della famiglia, che verrebbe fuori dalla individuazione di un modello alternativo, una sorta di “famiglia fai da te”, i cui componenti si ritagliano diritti e doveri come meglio credono. È invece necessario promuovere un rilancio dell’istituto familiare, parallelo al rilancio di una politica demografica, che faccia invertire il trend che vede sempre più la nostra nazione popolata da anziani e da figli unici.
L’ultimo pedaggio ideologico che il governo Prodi tenta di pagare alla parte sinistra della sua coalizione è l’inserimento nell’ordinamento italiano delle norme cosiddette anti-omofobia. Si tratta di disposizioni inutili, essendo già completo il quadro normativo riguardante la tutela per tutti, quindi anche per gli omosessuali, dalle discriminazioni. Si vorrebbe introdurre un delitto di opinione, in base al quale affermare che due persone del medesimo sesso non hanno il diritto di adottare un bambino o che un genitore può rifiutare per il proprio figlio un insegnante ostentatamente transessuale potrebbe, suonare come discriminatorio, e quindi passibile quanto meno dell’apertura di un procedimento penale. Per questo motivo è necessario lanciare una grande battaglia per la difesa del diritto alla vita e della dignità della persona, nella quale:
a. Mobilitare i nostri rappresentanti nelle Regioni e negli enti territoriali perché sia assicurata la presa in carico del paziente da patologie gravi e l’affiancamento della sua famiglia;
b. Sostenere in ogni sede iniziative in favore della famiglia, e a contrastare forme giuridiche, quali i pacs-dico-cus, che puntano non già al riconoscimento dei diritti individuali dei componenti delle coppie di fatto, ma a istituire modelli alternativi di matrimonio;
c. Contrastare nel Parlamento e fra la gente le norme cosiddette anti-omofobia, in realtà gravemente lesive della libertà di espressione del pensiero.


2. La famiglia protagonista nella società. Il “declino italiano” è un dato tangibile che colpisce quotidianamente le famiglie del nostro Paese, è quello che si manifesta nello stritolamento del ceto medio, che sta dividendo l’Italia fra pochissimi “furbetti” super ricchi e la polverizzazione degli altri in un ceto indistinto sempre più a rischio di povertà. È la perdita di potere d’acquisto, l’incertezza del futuro, l’instabilità permanente. Le generazioni precedenti hanno sempre avuto la prospettiva di poter salire la scala sociale, migliorare sé stessi e la condizione delle proprie famiglie. Il risparmio consentiva di acquistare la prima casa e, a volte, anche una seconda, di accedere a nuovi consumi: dall’automobile agli oggetti di lusso. L’Italia traeva linfa e fiducia da un grande ceto medio che includeva gli operai specializzati, gli artigiani, i commercianti, gli impiegati, i quadri, gli insegnanti, i giovani e non ancora affermati professionisti. Ciascuno di loro aveva la prospettiva di crescere e migliorare. «Discesa di classe», l’hanno definita alcuni sociologi, per sintetizzare il fenomeno del peggioramento del proprio status. E molto chiara al riguardo è l’immagine fornita dal Censis: «Le dinamiche di sviluppo in atto restano dinamiche di minoranza, che non filtrano verso gli strati più ampi della società. Lo sviluppo non filtra sia perché non diventa processo sociale, sia perché la società sembra adagiarsi in un’inerzia diffusa, una specie di antropologia senza storia, senza chiamata al futuro. Una realtà sociale che diventa ogni giorno una poltiglia di massa». La campagna a favore delle famiglie si deve articolare su più temi:
a. Un fisco a dimensione familiare. Occorre tradurre la proposta di introduzione del quoziente familiare in formule alternative in grado di realizzare un’equità orizzontale: deduzioni per il minimo vitale (possibile creazione di un paniere di beni dove inserire i servizi primari per la cura di minori e anziani…); introduzione di un sistema (Basic incom familiare) articolato su deduzioni per il familiare a carico (coniuge, figli, parente fino al secondo grado). In questo modo il reddito imponibile viene calcolato sottraendo al reddito nominale il reddito minimo per il mantenimento di ciascun componente del nucleo familiare. Netta deve essere la scelta verso una riduzione delle tasse orientata verso i redditi mediobassi e verso le famiglie, al contrario degli orientamenti sull’abbassamento delle aliquote massime verso la flat tax (“tassa piatta”, basata su una aliquota unica senza progressività).
b. Contenimento dei prezzi e delle tariffe. Promozione di una campagna contro il “caro vita” con l’individuazione di politiche per il contenimento dei prezzi da parte delle istituzioni, di microcredito garantito, di mutuo sociale a cui collegare una battaglia contro i grandi monopoli che stanno colpendo soprattutto il ceto medio. Un attacco ai grandi cartelli monopolistici (da contrapporre alle “liberalizzazioni” di Bersani contro professionisti e ceto medio), rappresentati dalle banche, dalle assicurazioni, dalla grande distribuzione organizzata, dai petrolieri e dalle telecomunicazioni.
c. Diritto alla casa. La crisi della casa investe oltre un milione e mezzo di famiglie. Solo alcune di loro, con reddito particolarmente basso, hanno la possibilità di partecipare ai concorsi per l’assegnazione di una delle poche case disponibili. È necessario, quindi, non solo finanziare l’edilizia economico popolare, ma lanciare una vera politica di “housing sociale” che metta a disposizione case con affitti controllati per il ceto medio.
d. Conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. La conciliazione oggi non è più solo un problema delle donne, ma di tutta la famiglia che deve destreggiarsi rispetto alla necessità di lavorare di entrambi i coniugi. Occorre, quindi, che la famiglia entri nelle relazioni contrattuali al fine di individuare nuovi e più pratici modelli di partecipazione al mercato del lavoro attraverso la rimodulazione degli orari di lavoro e l’estensione dei congedi parentali. Anche il mondo dell’impresa va ulteriormente sollecitato attraverso misure fiscali che agevolino la nascita di servizi aziendali per la famiglia nell’ottica di una maggiore diffusione della “responsabilità sociale d’impresa”. A ciò vanno aggiunte nuove politiche dei servizi per l’infanzia, gli anziani e i portatori di handicap in grado di sostenere il lavoro di cura svolto dalle famiglie.
e. Sostegno all’associazionismo familiare. Possibilità di estendere l’applicabilità del 5 per mille alle realtà associative che sostengono le famiglie secondo un principio di sussidarietà orizzontale.
f. Garantire il diritto alla salute dei cittadini e delle famiglie, attraverso una profonda riforma dell’intero Sistema sanitario nazionale. È necessario superare l’attuale modello organizzativo delle Asl a favore di un’organizzazione funzionale, basata su presidi in rete organizzati per competenze; istituire un “Osservatorio sulla qualità della salute pubblica”, con compiti di misurazione dell’efficienza del sistema pubblico e delle strutture accreditate secondo criteri condivisi con le organizzazione mediche e paramediche e le associazioni dei pazienti; attuare politiche di prevenzione basate sulla consapevolezza e l’informazione continua dei cittadini. A completamento di tale riforma, ma con una più ampia portata di carattere sociale e culturale, è indispensabile l’elaborazione di “Piano nazionale della terza età”, per l’assistenza e l’inclusione sociale ai numerosi anziani del nostro Paese, con particolare riferimento ai non autosufficienti e con la creazione di strutture di assistenza e il convoilgimento del volontariato.


3. L’Italia giovane: merito e diritti contro tutte le caste. An ritiene prioritario l’impegno delle giovani generazioni, protagoniste nella costruzione dell’Italia del futuro e considera un elemento identitario della propria struttura una forte presenza di ragazze e ragazzi che fa del nostro partito una comunità militante, capace di suscitare entusiasmo e partecipazione soprattutto tra quanti, prima ancora dei programmi, considerano fondamentale una scelta ideale. Ma con i giovani e per i giovani dobbiamo fare anche battaglie concrete per garantire diritti. Ad esempio, la lotta al precariato deve essere sottratta al monopolio dell’estrema sinistra, differenziando la flessibilità, come finestra di accesso al mondo del lavoro, dal precariato, come strumento di sfruttamento, fonte di insicurezza e di frustrazione nella realizzazione delle aspettative. È insostenibile per le giovani generazioni una società che offusca l’opportunità di realizzare i propri sogni. Occorre dare voce a quei tanti che rifiutano la dimensione sessantottina del “tutto e subito” e chiedono gli strumenti per potersi misurare sul terreno della meritocrazia. I giovani di oggi si trovano schiacciati su due fronti nella propria realizzazione: da un lato dai privilegi e dalle tutele selettive di alcune caste, dall’altro dalla difficoltà di pianificare il proprio futuro per una insostenibile precarietà di vita. Diventano urgenti, quindi, alcuni provvedimenti per favorire il merito e il diritto al futuro delle nuove generazioni:
a. Una legge quadro in difesa dei non garantiti. Vogliamo sostenere una legge quadro capace di sintetizzare le numerose proposte messe a punto nel corso degli anni per sostenere i giovani in tema di lavoro, casa, accesso al credito e tutele sociali. Si tratta di incrociare tutele sociali con maggiore flessibilità del lavoro. Dal fondo di garanzia per l’accesso al mutuo sulla prima casa al tema della casa a riscatto, dal prestito d’onore a fini formativi agli ammortizzatori sociali per i giovani precari, passando per una vera regolamentazione degli stage di formazione e per le politiche di sostegno alle giovani famiglie, un pacchetto di interventi sul quale coinvolgere i giovani nella raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare. Una grande battaglia sul futuro dell’Italia che deve essere una priorità per la destra.
b. Un osservatorio sui concorsi. Per difendere e garantire il merito bisogna lanciare un osservatorio sui concorsi pubblici e sui diritti degli studenti nelle scuole e nelle università. Tale osservatorio avrà anche il compito di valutare iniziative per contrastare il ricorso, ancora troppo diffuso, alla raccomandazione e per colpire qualsiasi forma di offuscamento della trasparenza nella selezione meritocratica. La pratica di agevolare amici o conoscenti nelle scelte di personale di aziende pubbliche o a partecipazione pubblica deve essere combattuta con tutti gli strumenti utili, anche attraverso modifiche al codice penale.
c. Scuole e università diventino comunità. Scuola, università, attività di formazione devono premiare il merito offrendo a tutti reali possibilità di accesso e di crescita. Contestiamo la instabilità normativa causata dalle pessime controriforme del governo Prodi, che creano incertezza e confusione. Il grande obiettivo resta quello di trasformare scuole e università in campus, ovvero in luoghi aperti anche al di fuori degli orari di lezione, dove sia possibile praticare attività sportive e di formazione, dedicare spazio e tempo all’arte, creare delle vere e proprie comunità giovanili.


4. Il diritto a vivere sicuri legalità e certezza della pena
. Vivere sicuri è da sempre una delle prerogative dell’uomo ma lo è ancor più oggi, perché l’intersezione globale di persone, merci, capitali, rende più temibili le minacce di chi vuole minare la pacifica convivenza. I fatti di cronaca degli ultimi tempi – e prima di tutto la composizione della popolazione carceraria – dimostrano come la non integrazione, l’ingresso indiscriminato di persone che non hanno un lavoro e mezzi per sostentarsi, causino giocoforza l’aumento esponenziale di fattispecie delittuose. Ai margini della nostra società si stanno formando moltitudini di disperati, attratti da un miraggio consumistico e da un’aspettativa di vita che non c’è. L’Italia ha lottato decenni, con immani sacrifici di servitori dello Stato, e non ha ancora debellato i fenomeni di criminalità autoctoni, sulla cui contrasto bisogna insistere. Ed ecco apparire nuove forme insidiose di criminalità. Considerare questa realtà non significa negare l’integrazione e l’accoglienza di chi responsabilmente vuole inserirsi nel tessuto produttivo e culturale del nostro Paese. Ma ciò può avvenire soltanto nell’affermazione del principio che nessuno può sottrarsi alla legge, alle regole che promanano dalla nostra secolare identità culturale e al complesso di diritti e doveri che formano la cittadinanza italiana. Diventare italiani è possibile, ma bisogna accettarne regole e doveri. Del resto nazioni ben più vaste e ricche (Australia, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda), ma anche i nostri partner europei (Germania, Francia, Svezia, Spagna), si sono dotate di un complesso di norme rigorose che regolano i flussi migratori e dettano le modalità del processo d’integrazione. Più volte di fronte a gravissimi avvenimenti di cronaca è stata richiamata la necessità di garantire la «certezza della pena», oltre che la sua immediatezza. Molto spesso nei casi di criminalità organizzata, come per quella comune, la sanzione si rivela essere puramente nominale, vanificata da una serie di meccanismi che la stessa legge consente. An giudica inderogabile una modifica radicale della legislazione premiale, a partire dalla legge Gozzini, anche attraverso il ricorso allo strumento referendario. Nelle aree metropolitane, ritiene vadano instaurate corti di giustizia permanenti (in grado di funzionare 24 ore su 24), attraverso il cui operato si possa ampliare la gamma dei reati processabili per direttissima, comminando pene rapide ed efficaci. Allo stesso il diritto alla sicurezza può trovare tre immediate azioni di riscontro:
a. Referendum popolare per l’abrogazione parziale della legge Gozzini, per eliminare alcune norme che hanno prodotto effetti distorsivi con l’applicazione automatica della riduzione di un quarto di pena per i condannati. Non si tratta di cancellare totalmente la legge Gozzini, ma di modificarla nella sostanza per impedire un perdonismo generalizzato che ha prodotto conseguenze nefaste.
b. Più processi per direttissima. Nelle aree metropolitane vanno costituite corti di giustizia permanenti, in grado di funzionare 24 ore su 24, attraverso il cui operato si possa ampliare la gamma dei reati processabili per direttissima, comminando pene rapide ed efficaci.
c. Pene alternative per i reati minori. Ogni giorno le città sono danneggiate da una lunga serie di piccoli reati. Chi sporca, danneggia, si comporta con prepotenza confida nella più che probabile impunità. Per questi casi occorrono sanzioni immediate, consistenti soprattutto in punizioni alternative al carcere. In particolare, prestazioni di pubblica utilità, come ripulire parchi, lavare autobus, attività di manutenzione urbana. La tolleranza zero comincia da qui e dalla concreta sensazione che anche i tanti abusi quotidiani possano trovare una immediata e pubblica punizione.
d. Più risorse per le forze dell’ordine e il controllo del territorio. Il governo Prodi con le leggi finanziarie del 2007 e del 2008 ha tagliato per più di 1 miliardo di euro il bilancio del Viminale, mentre con l’indulto sono stati scarcerati 25mila delinquenti non è proseguito l’impegno per moltiplicare i poliziotti e i carabinieri di quartiere, che erano stati destinati alle città italiane dal governo di centrodestra. Dai carabinieri e poliziotti di quartiere siamo passati al delinquente di quartiere con il centrosinistra. Chiediamo con una petizione popolare di ripristinare le risorse del ministero dell’Interno per garantire più presenza sul territorio, nelle grandi città ma anche nei centri minori; più stazioni dei carabinieri; più commissariati; più poliziotti e carabinieri di quartiere; mezzi tecnici e risorse organizzative adeguate; più fondi per la sicurezza per combattere il crimine.
e. Norme più severe contro l’immigrazione clandestina e contro il nomadismo incontrollato. Il centrosinistra vorrebbe abrogare la legge Fini-Bossi per sostituirla con norme permissive. E già ha causato gravi danni con interventi amministrativi di varia natura. Noi non solo difendiamo la Fini-Bossi, ma chiediamo ai cittadini sostegno per modificarla per quanto riguarda l’espulsione dei clandestini in termini ancora più severi e restrittivi e chiediamo che un adeguamento delle norme sia concordato e realizzato a livello europeo, poiché la politica di un solo Stato non è sufficiente a contrastare la clandestinità e le conseguenze nefaste sotto il profilo della sicurezza.
f. An chiede l’inserimento dell’esame di lingua italiana, oltre che il giuramento sulla Costituzione, ai fini del conseguimento della cittadinanza da parte di chi ne ha i requisiti di legge. Le politiche di integrazione devono comportare una convinta adesione a valori e norme della nostra nazione. L’Italia è di chi la ama, e quindi ne condivide l’antica e profonda identità.


5. Petizione per un’Europa rispettosa dei popoli e per il governo della globalizzazione. La politica della sicurezza va declinata al plurale, perché sicurezza non significa solo ordine pubblico. Una sociètà globale impone varie forme di sicurezza, a cominciare da quella sociale, minacciata sia dalla diminuzione del potere d’acquisto che dall’attacco alle pensioni, ai servizi sociali, sempre più essenziali in una società in cui aumenta l’età media. C’è il dovere di garantire una “sicurezza alimentare”, come una di tipo ambientale. Le statistiche ufficiali indicano che ogni giorno entrano nei porti italiani, in media, diecimila container, di questi un buon 30 per cento proviene dalla Cina. Appare evidente che non potranno mai essere controllati efficacemente e che le norme che oggi sono codificate sono destinate, di fronte a queste entità, a restare inapplicate. Un partito delle sicurezze e della tutela del cittadino, in questo senso, deve svolgere una grande missione di autentico difensore civico della comunità nazionale. La critica alla globalizzazione non governata e a una integrazione troppo burocratica dell’Europa, deve tradursi in una grande petizione rivolta al Parlamento europeo, oltre che al governo italiano, in cui si chiedano degli interventi incisivi in ambito Wto contro tutti i Paesi, a cominciare dalla Cina, che nel commercio globale non rispettano il principio di reciprocità delle regole e degli impegni multilaterali. Nella stessa petizione si deve chiedere alle autorità di Bruxelles un intervento presso la Banca centrale europea per abbassare il tasso di sconto per ridurre il costo del denaro alle famiglie e alle imprese e per rendere meno forte l’euro nei confronti del dollaro. Infine, si deve aggiungere la richiesta di rivedere i parametri di Maastricht in modo da escludere da essi le spese per gli investimenti produttivi. Una petizione al Parlamento europeo è uno strumento politico estremamente semplice, ma si deve qualificare attraverso il carattere dirompente delle richieste, che non puntano a un ottuso protezionismo, ma a regolare i processi di integrazione secondo un effettivo principio di reciprocità e per la difesa degli interessi nazionali ed europei.


6. Appello per la dignità del lavoro e per la libertà di intraprendere. La sfida centrale per tornare a rendere competitivo il nostro sistema economico è quella di rendere convergenti gli interessi delle diverse forme di lavoro e del mondo delle imprese. Oggi in Italia il lavoro è frantumato in segmenti totalmente avulsi gli uni dagli altri e spesso in conflitto fra di loro. Lavoro autonomo contro lavoro dipendente, impiego pubblico contro impiego privato, lavoratori precari contro lavoratori garantiti. Un’Alleanza per l’Italia che crede nel lavoro ha il compito prioritario di riunificare questi segmenti in un unico contesto di diritti e di responsabilità. L’unità e la dignità del lavoro è la prima base per rimettere in movimento l’Italia, rifiutando ogni forma strisciante di “lotta di classe” tra le diverse forme di lavoro (che è la logica in cui si muove ancora oggi tutta la sinistra italiana) e puntando in ogni contesto di lavoro alla valorizzazione del merito e dell’impegno. Passo successivo è conciliare il mondo del lavoro con il mondo dell’impresa nella partecipazione consapevole a un destino comune. I veri nemici del lavoro e dell’impresa sono le rendite, i monopoli, i parassiti, gli incapaci al comando.
a. Sul versante fiscale bisogna costruire una proposta completa e credibile di abolizione dell’Irap, sostituendola con altre forme di tassazione non vessatoria per le piccole imprese e in grado di premiare la responsabilità sociale delle imprese.
b. Per rilanciare la lotta alla burocrazia bisogna puntare tutto sull’autocertificazione, l’azzeramento delle procedure e l’abolizione di ogni duplicazione di potere.
c. Sul versante del lavoro bisogna ricostruire una politica dei redditi, fondata sulla produttività, aumentando e detassando la parte variabile delle retribuzioni legate ai risultati di impresa, favorendo la firma dei contratti detassando tutti gli aumenti contrattuali. In questo campo va valutata attentamente la proposta del presidente Sarkozy di introdurre per legge la quattordicesima mensilità.
d. Per rendere omogenei i diritti e le responsabilità dei lavoratori precari e di quelli garantiti, degli impiegati pubblici e di quelli privati, dei dipendenti e degli autonomi, bisogna completare la riforma Biagi con un nuovo “Statuto dei lavori” che superi l’impianto fordista e classista dello Statuto del 1970.
e. Garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro, attraverso una legge costituzionale che riunifichi le competenze nella prevenzione degli infortuni, competenze pericolosamente divise tra Stato e Regioni con la riforma del Titolo V. Si tratta di un’autentica battaglia di civiltà.
f. Infine per legare lavoro e impresa in un comune destino bisogna rilanciare in forma moderna e flessibile l’antico valore della partecipazione e della responsabilità dei lavoratori nella vita delle imprese.


7. Per il Sud: più Stato, più mercato. La legge finanziaria 2008, ha fatto calare definitivamente la maschera sull’ennesimo e clamoroso tradimento consumato alle spalle del Mezzogiorno, delle famiglie e delle imprese che vivono e operano nel Sud. Non bastava, infatti, la grave decisione del rinvio del credito d’imposta previsto per il 2008, ma anche i fondi che dovevano servire a finanziare le agevolazioni fiscali per le imprese sono stati dirottati ad altri scopi. In pratica si tratta di un colpo durissimo per il Mezzogiorno, che rischia di diventare uno scippo dalle conseguenze drammatiche per le imprese che intendono investire nelle regioni del Sud. I dati infatti parlano chiaro: ben 280 milioni di euro, inizialmente destinati al finanziamento del credito d’imposta al Sud per il 2009, sono stati dirottati su altri impieghi che nulla hanno a che fare con il Mezzogiorno. Secondo le analisi degli imprenditori, che An non può non condividere, lo sviluppo del Mezzogiorno è sempre meno al centro dell’attenzione del governo e delle forze politiche della maggioranza. In questo contesto, bisogna rilanciare una politica per il Mezzogiorno che segni il ritorno dello Stato e delle politiche economico nazionali, un orientamento strategico che individua nel Sud la nuova frontiera per lo sviluppo. I processi di allargamento della Ue ora formata da 27 Stati fanno del nostro Mezzogiorno un’area di grande rilevanza strategica nel quadro del dialogo che deve unire le sponde del Mediterraneo. Dobbiamo rivendicare questa ruolo essenziale nell’ambito comunitario. Per questo è necessario:
a. Garantire una più forte presenza del governo e dello Stato a fianco e, se necessario, al di sopra delle Regioni meridionali, partendo dalla lotta alla criminalità organizzata e dal rifinaziamento del Fondo per le aree sottoutilizzate, per arrivare alla approvazione di leggi quadro nazionali per finanziare i principali assi di sviluppo del Mezzogiorno (turismo, logistica, agroalimentare, innovazione e ricerca)
b. Integrare la petizione al Parlamento europeo indicata al punto 4. con una richiesta finalizzata a ottenere una fiscalità differenziata di vantaggio per tutte le aree in ritardo di sviluppo.
c. Correggere il decreto sul federalismo fiscale per eliminare le distorsioni che ancora oggi penalizzano le regioni meridionali.


8. Dall’ambientalismo del “non fare” alla risorsa ambiente. L’ambientalismo italiano, pur partendo da premesse sacrosante, si è sposato con il localismo più chiuso e con la totale incapacità di programmare lo sviluppo sul territorio. Questo ha prodotto la cultura del “niet” pregiudiziale e, alla prova dei fatti, danni maggiori all’ambiente che si voleva proteggere e che, invece, necessita spesso di interventi sani, rigorosi, protettivi. Le conseguenze sono un Paese chiamato alla sfida competitiva senza ferrovie, aeroporti, metropolitane, reti energetiche e reti informatiche adeguate. L’ecologia invece può e deve diventare un motore dell’economia in una visione politica capace di coniugare ambiente e crescita economica in funzione di una migliore qualità della vita dell’uomo. Il concetto di ambiente come opportunità, per le imprese e per i cittadini, deve sostituirsi a quello corrente che, in nome del rispetto dell’ambiente, sa solo porre vincoli e limiti allo sviluppo. In questo modo, a un approccio che ha fatto della contrapposizione e dell’esasperata conflittualità il suo modo di essere nelle questioni ambientali, si dovrà sostituire un approccio pragmatico, che vede nella collaborazione con il mondo economico e con i cittadini il cammino privilegiato per la ricerca delle soluzioni. Al centro di un sistema come quello delineato c’è l’uomo, con la sua capacità, con le sue conoscenze, con la sua intelligenza. La difesa dell’ambiente va perseguita, quindi, non come un bene in sé, ma per assicurare all’uomo le migliori condizioni di vita, attraverso la conservazione di quel contesto ambientale a esso necessario. Tutelare l’ambiente e realizzare lo sviluppo sostenibile significa anche dotarsi delle infrastrutture necessarie per rendere competitivo il sistema Paese, senza costringere la nostra economia a inaccettabili condizioni di vulnerabilità, mettendo a rischio il nostro modello sociale e di sviluppo. L’Italia sembra però aver staccato la spina della sua modernizzazione, con costi enormi in termini non solo di ambiente, ma anche economici. L’opposizione strenua e senza quartiere alla realizzazione di infrastrutture energetiche, ad esempio, ha un costo esorbitante: 40 miliardi di euro, pari al 3 per cento del Pil da qui al 2020. L’Italia, Paese industrializzato che fa parte del G8, non può non affrontare il problema. Il mix energetico italiano è del tutto particolare e unico nel panorama dei Paesi industrializzati. L’Italia ha fatto una scelta pericolosa, affidandosi completamente al gas, dal quale oggi dipendiamo per circa il 50 per cento della produzione elettrica, mentre dal punto di vista degli approvvigionamenti per più del 50 per cento dipendiamo da tre Paesi che non sono esenti da tensioni politiche: Russia, Algeria e Libia. Questa anomalia tutta italiana si paga non solo in costi politici, ma anche in costi economici: di fatto i prodotti dell’industria italiana divengono meno competitivi a causa degli alti costi dell’energia e le bollette elettriche dei cittadini risultano più salate del 25 per cento rispetto a quelle Ue. Allo stesso modo, l’uscita dal nucleare ci ha penalizzati: occorre prenderne atto e considerare che è arrivato il momento di ripensare questa tecnologia energetica, tenendo però presente che occorre tempo per riavviare il ciclo. Allora nell’immediato bisogna andare avanti con i rigassificatori, il carbone pulito, le energie rinnovabili, i termovalorizzatori, in attesa della realizzazione di centrali nucleari sicure di ultima generazione. Nel disegnare lo scenario energetico italiano è però necessario tener conto del Protocollo di Kyoto, che ha posto a tutti i Paesi che lo hanno sottoscritto una nuova sfida ambientale. Per l’Italia quindi, oggi deve perseguire con sempre maggiore determinazione l’integrazione tra le politiche ambientali e quelle energetiche, tenendo presente che il nostro Paese presenta attualmente la migliore performance tra i Paesi europei, in termini di efficienza energetica della struttura industriale, alla quale corrispondono i livelli più bassi di emissioni di C02 in rapporto al Pil. In questa prospettiva va conferita efficienza anche al ciclo dell’acqua e al ciclo dei rifiuti. Una politica ambientale coerente non può fare a meno poi di investire nella natura, nella sua salvaguardia e nella sua valorizzazione. Le aree protette in Italia hanno assunto una pluralità di funzioni che vanno ben oltre la semplice conservazione della natura. Esse svolgono funzioni sociali, educative, turistiche e di sviluppo delle economie locali.


9. L’Italia: un patrimonio da ri-guardare. Viviamo un tempo nel quale il pericolo dell’omologazione, del dominio del “pensiero unico” è tutt’altro che immaginario e, senza cultura di riferimento, nessuna politica che voglia avere un respiro lungo è possibile. Una politica che voglia porsi come obiettivi interventi profondi per contribuire al cambiamento della società italiana, al suo miglioramento senza velleitarismi occasionali, a renderla partecipe e protagonista dei grandi mutamenti in atto, ma preservandola, al tempo stesso, dalla tentazione della fuga, dalla sua stessa identità storica e culturale. Coltivare la memoria storica, difendere la cultura della trasparenza e della legalità, affrontare le cause del declino italiano, reagire all’egemonia del pensiero unico, alla desertificazione dell’identità, riproporre l’affermazione del “modello italiano” attraverso metodi e percorsi utili a impegnare il nostro “capitale” culturale in un progetto alto e condiviso. Per queste ragioni deve essere lanciata una serie di progetti qualificanti all’interno di una cornice di comunicazione, promozione e sensibilizzazione dell’eccezionalità del “modello Italiano”. Utilizzando il termine “ri-guardo” nella duplice accezione di “avere riguardo per” e “guardare con nuovi occhi” è possibile lanciare lo slogan per una grande e articolata campagna politica sul tema “L’Italia: un patrimonio da ri-guardare”. In questa prospettiva si deve:
a. Promuovere una nuova legge obiettivo per il recupero del patrimonio culturale italiano, finalizzata alla valorizzazione del paesaggio, delle città e dell’ambiente. Questa legge deve portare alla sistematica demolizione degli ecomostri esistenti su tutto il territorio nazionale, al recupero e al risanamento delle grandi aree industriali, alla ricucitura del tessuto urbano delle città devastate dall’edilizia di rapina degli anni ’50, ’60 e ’70.
b. Istituire un meccanismo del 5 x mille per coinvolgere i cittadini nella tutela della valorizzazione del patrimonio Unisco italiano che, con i suoi 41 siti inseriti nella World heritage list, rappresenta la più grande concentrazione di cultura dell’intero pianeta.
c. Promuovere il patrimonio agroalimentare radicato nel territorio italiano, attraverso un’opera sistematica di certificazione dell’origine dei prodotti agricoli, di creazione di distretti rurali e agroalimentari di qualità e di sviluppo di una rete culturale e formativa in campo gastronomico, alimentare e nutrizionale.


10. Dal riformismo delle parole alla riforma italiana. An vuole rilanciare la sua politica riformatrice, che affonda le radici nella storia della destra italiana. L’obiettivo della destra è sempre stato il rafforzamento della democrazia diretta, dando protagonismo agli elettori che devono scegliere chi deve governare. Quanto alle riforme istituzionali, rispetto al lavoro organico portato avanti da noi nella scorsa legislatura, il tentativo attualmente in atto in Parlamento per piccole modifiche alla Costituzione va visto come un timido passo nella stessa direzione. Per questa ragione An non ha negato sin dall’inizio la propria disponibilità a verificare la fattibilità di ritocchi alla Carta al fine di migliorare il sistema. Ovviamente precisando che tale disponibilità non poteva essere confusa con il benché minimo assenso alla prosecuzione della vita del governo. Ma la nostra opzione principale resta una modifica di più ampia portata nella Carta costituzionale. An ribadisce la propria scelta di fondo a favore dei sistemi di democrazia diretta siano essi il premierato, il semipresidenzialismo alla francese o il presidenzialismo all’americana. Al riguardo l’ipotesi più volte ventilata e mai realizzata di una “assemblea costituente” appare la più idonea per offrire una reale opportunità non solo di dibattito, ma di effettiva soluzione largamente condivisa. In tale sede sarebbe oltre tutto più agevole valutare un’organica riscrittura di tutta la Carta a partire dall’articolo 116 c. fino alla riforma degli enti locali, senza tralasciare di valutare se intervenire o meno sulla stessa prima parte della Costituzione. Per quanto attiene all’aspetto della riforma federale dello Stato, da noi da sempre ritenuta utile solo in presenza di un serio rafforzamento presidenzialista della Carta, è possibile anche avanzare un’ipotesi alternativa alla semplice riproposizione del testo votato dal centrodestra nella scorsa legislatura. Va ricordato, infatti, che il testo fu poi bocciato dal referendum perché inviso alla sinistra ma anche perché, obiettivamente, non incontrò il favore di larghe aree territoriali del Paese, spaventate dalla propaganda avversaria e condizionate dalla circostanza che, nel centro-sud, anziché un vero bisogno di federalismo era ed è avvertita una necessità di maggiore presenza dello Stato. Vogliamo rilanciare la nostra tesi della fine degli anni Novanta, che prefigurava un federalismo differenziato e a velocità progressiva, relazionato alle reali risorse che le singole Regioni siano in grado di destinare allo scopo. Ci riferiamo alla possibilità di dotare progressivamente di uno statuto speciale le Regioni che siano in condizioni di richiederlo e di sostenerlo, come già a suo tempo avanzato da An sia in Lombardia che in Veneto con apposite proposte di legge in sede regionale. Al Sud occorrerà insistere su fiscalità di vantaggio e sui temi trattati a Napoli nello scorso dicembre al convegno “Più Stato, più mercato”. Va da sé, infine, che nel quadro di una seria riforma delle nostre istituzioni non debba essere trascurato il tema de “il costo e della trasparenza della politica” che va sempre rapportato, senza sottovalutazioni o demagogie, al grado di effettiva efficienza e capacità di risposta degli organi dello Stato. Sin d’ora è però possibile pretendere dal Parlamento risposte chiare e puntuali. In quest’ottica, le proposte di campagne da portare avanti riguardano:
a. Petizione popolare per l’elezione diretta del premier “sindaco degli italiani”.
b. Proposta di legge di iniziativa popolare nelle Regioni interessate all’ottenimento di uno statuto di speciale autonomia. La proposta è opportuna in alcune aree del Nord ma, in ipotesi, anche nel Sud, ad esempio in Puglia da sempre interessata a questo tema.
c. Proposta di legge di iniziativa popolare “costi e trasparenza della politica”.


L’appello di An. L’appello che An lancia alla società italiana per un progetto di rinascita della nazione e per un nuovo protagonismo economico e sociale, riguarda ovviamente non solo i cittadini ma anche le forze politiche, le parti sociali, le associazioni. Vogliamo avviare un confronto per costruire un nuovo centrodestra capace di allargare i suoi consensi e in grado di rappresentare una seria e credibile garanzia per chi crede nel futuro dell’Italia. L’unità della coalizione è un valore che va costruito con pazienza e profondità, coinvolgendo tutti coloro, e sono la maggioranza, che hanno valori e programmi alternativi al fallimento delle sinistre. Noi siamo pronti a fare la nostra parte.

 

Data pubblicazione: 04/01/2008