PRECARIZZAZIONE DEL GIORNALISMO

Interrogazione con richiesta di
risposta scritta E-013162/2013

alla Commissione

Articolo 117 del regolamento

Sergio Berlato (PPE), Magdi Cristiano Allam (EFD), Roberta Angelilli
(PPE), Paolo Bartolozzi (PPE), Fabrizio Bertot (PPE), Mara Bizzotto (EFD), Lara
Comi (PPE), Susy De Martini (ECR), Elisabetta Gardini (PPE), Giovanni La Via (PPE), Clemente Mastella
(PPE), Barbara Matera (PPE), Cristiana Muscardini (ECR), Alfredo Pallone (PPE),
Aldo Patriciello (PPE), Crescenzio Rivellini (PPE), Licia Ronzulli (PPE),
Oreste Rossi (PPE) e Marco Scurria (PPE)

La crescente precarizzazione che in
Italia sta investendo in maniera esponenziale diversi ambiti lavorativi ha
colpito anche il giornalismo, sottoponendo gran parte dei lavoratori dell’informazione,
collaboratori esterni e freelance, a condizioni di lavoro e trattamenti
economici inaccettabili. Attualmente i giornalisti “autonomi”
superano quelli “dipendenti”, sono infatti 28 408 mila su
47 727 mila giornalisti attivi, e hanno retribuzioni medie equivalenti al
18% del salario medio annuo di un giornalista dipendente. Si parla di un reddito
medio lordo annuo di 12 810 euro per le partite Iva, cifra che cala a
8 973 per i co.co.co, come si evince dai dati della gestione separata
dell’Inpgi, la cassa previdenziale di categoria. In termini materiali, dunque,
significa che un articolo di un cronista su un quotidiano può “valere”
anche cinque euro lordi. Una situazione che è fotografata dal rapporto Lsdi
(Libertà di stampa diritto all’informazione) relativa all’anno 2012, dove
emerge che attualmente 6 giornalisti attivi su 10 svolgono infatti un lavoro
autonomo, e fra il 2009 e il 2012 la percentuale del lavoro subordinato è scesa
dal 46,4% al 40,5%. I giornalisti dipendenti rappresentano il 18,8% degli
iscritti all’ordine. La retribuzione media di un autonomo varia dai 9 000
ai 12 800 euro lordi all’anno (con spese, contributi e rischi a carico), e
si rileva che il 53% di questa popolazione percepisce un reddito annuo al di
sotto dei 5 000 euro. Tenuto conto della risoluzione del Parlamento
europeo del 20 ottobre 2010 sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la
povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa, che, al paragrafo
6, “sottolinea la necessità che gli Stati membri intervengano
concretamente per definire una soglia di reddito minimo, in base a indicatori
pertinenti, che garantiscano la coesione socioeconomica, ridurre il rischio di
livelli di remunerazione differenti per la medesima attività, ridurre il
rischio di una popolazione povera in tutta l’Unione europea e chiede
raccomandazioni più risolute da parte dell’Unione europea in merito a questi
tipi di azioni”, può la
Commissione far sapere:

1.    se
è già a conoscenza di questa situazione e se ritenga che sia un’anomalia solo
italiana;

2.    se
ritiene che la situazione di precarietà nel campo dell’informazione, vista la
conseguente mancanza di autonomia e indipendenza che il mestiere richiederebbe,
vada inevitabilmente a incidere sul prodotto fornito e quindi ad abbassare il
livello di qualità della stessa informazione;

3.    se
ritiene opportuno proporre la costituzione di una commissione d’inchiesta
speciale, e in che tempi, per avviare un monitoraggio serio e concertato in
tutti i paesi europei per fare luce sulla situazione relativa al lavoro
autonomo giornalistico nel settore dell’informazione?


IT

E-013162/2013

Risposta di László Andor

a nome della Commissione

(29.1.2014)

 

1. La Commissione è
consapevole del fatto che il giornalismo è spesso un’occupazione precaria. Ciò
è stato confermato da uno studio condotto di recente[1] sul
lavoro precario e i diritti sociali che ha esaminato dodici Stati membri,
Italia compresa.

 

2. La Commissione si adopera
per assicurare il rispetto della libertà dei media e del pluralismo consacrati
nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per quanto concerne le
sue competenze. Conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, la Carta si applica agli Stati
membri soltanto allorché questi attuano la normative dell’UE. La Commissione ritiene
che la disponibilità di giornali qualitativamente validi sia un fattore importante
per la cultura politica e la democrazia europee. Non esistono però regole
specifiche a livello europeo in merito alla sicurezza del posto di lavoro per i
giornalisti.

 

3. La Commissione segue la
questione cofinanziando progetti in questo ambito e in sede di comitati europei
per il dialogo sociale e settoriale. In particolare, essa ha cofinanziato un
progetto[2]
condotto dalla Federazione europea dei giornalisti nel 2012 che ha prodotto un
insieme di conclusioni e raccomandazioni[3] per
assicurare che i giornalisti godano di pari diritti. La Commissione attira
l’attenzione degli onorevoli deputati sul fatto che l’UE non ha competenza per
disciplinare le questioni salariali[4]. Poiché
non vi è una legislazione unionale che stabilisca criteri atti a determinare
quali sono i lavoratori autonomi, la questione è lasciata alle autorità
nazionali, anche nelle sedi giudiziarie. La Commissione non
intende pertanto costituire un comitato speciale di indagine incaricato di
esaminare la situazione dei giornalisti   “indipendenti”.

 



[1]
    “Study on precarious work and
social rights”, effettuato per conto della Commissione dalla London
Metropolitan University, aprile 2012; reperibile sul sito:
http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=157&langId=en&furtherPubs=yes.

[2]     Nell’ambito
del progetto pilota “Encourage conversion of precarious work into work
with rights” condotto nel 2011 e 2012.

[3]     “Equal
rights for journalists – An analysis from the Thessaloniki conference”, 2012;
disponibile sul sito:

http://europe.ifj.org/en/articles/equal-rights-for-journalists-learning-the-lessons-of-europes-journalists-unions.

[4]
    Articolo 153, paragrafo 5, del
trattato sul funzionamento dell’Unione europea.