Cari lettori, certamente anche questa settimana vi sono molti spunti politici per un commento ed un articolo, più o meno caustico, vista l’insistenza dell’opposizione a contestare qualunque iniziativa del governo senza mai proporre, concretamente, qualcosa che si possa effettivamente fare con i mezzi che ci sono.
Anche il governo non sempre è in linea con le promesse fatte, a volte per dare un contentino a qualche categoria tralascia una maggiore visione d insieme, alcune volte troppa fretta, come per il ponte di Messina, a volte troppa lentezza per riuscire, nei tempi urgenti, a risolvere problemi come l’acqua potabile, la mancanza di case e la necessita di aiuti per la sussistenza dei pensionati troppi poveri.
La costante latitanza dell’Europa sul problema immigrazione è un altro tragico argomento, mentre in Ucraina continuano a morire civili e bambini, del quale oggi non parlerò.
Questa volta, mentre impazzano i pronunciamenti di morte del presidente della Provincia di Trento, contro l’orsa Jj4 senza perdere tempo a dare una valutazione politica e di competenza, vi lascio un breve racconto che prende spunto da un fatto vero, queste brevi righe non vi lasceranno alcun dubbio sul mio pensiero, e non solo per gli orsi.
L’orso della panetteria
E’ una follia sperare nelle cose mortali che durino in eterno….
(Orazio, Odi, cap. IV)
L’orso non capiva cosa fosse cambiato: quando era più piccolo ogni tanto andava vicino al paese e gli uomini, i bambini gli sorridevano.
Pian piano era stato accolto, con prudenza, certo non venivano ad accarezzarlo ma gli lasciavano qualche boccone goloso e lui era molto goloso.
La madre se ne era andata con i suoi fratelli verso le colline ed i boschi, gli aveva detto: «Non ti fidare, gli umani cambiano idea spesso, vieni via con noi, non sei ancora abbastanza grande per vivere da solo. Non hai ancora i quattro anni necessari per essere adulto, vieni via con noi, io so come proteggerti».
Le aveva risposto con la cocciutaggine dei giovani che credono di sapere già tutto: «Qui mi lasciano bocconi buonissimi e fuori dalle case ci sono bidoni pieni di cibo che a me piace. Certo c’è un po’ di confusione quando mischiano le mele con la carta sporca, ma lasciano anche vasetti mezzi aperti di marmellata, perché andare nel bosco e fare fatica quando qui trovo tutto quello che mi serve e gli umani sono gentili, non mi disturbano».
Dopo qualche tempo la madre aveva rinunciato, se ne era andata e lui era rimasto e ogni giorno cresceva un po’ di più e prendeva più confidenza con quel mondo che tanto lo incuriosiva.
A forza di esplorare e seguendo un profumo fantastico, solo ad annusare sentiva la felicità salirgli in gola, arrivò davanti al negozio del fornaio. Era buio, non c’era nessuno: fu un attimo per lui entrare e mangiarsi dolci, pane e paste senza pensare alle conseguenze per il suo stomaco.
Dovette stare tranquillo per un po’ dopo la grande abbuffata, anzi lo dovettero anche curare, ma, appena si riprese, non resistette e tornò alla panetteria. Si contenne un po’ rispetto alla prima volta, fece un po’ più fatica ad entrare, avevano chiuso molto meglio. Mangiò e ritornò al suo rifugio.
L’orso non sapeva che ormai i giornali parlavano di lui, certo un orso così confidente poteva essere un vero problema: era troppo abituato all’uomo, ma, d’altra parte, era ormai bel un po’ di tempo che ci si era abituati alla sua presenza e non aveva mai dato fastidio a nessuno.
La vita, si sa, è sempre in divenire, non esiste nulla di eterno, specie la tranquillità, ammesso che per un po’ si sia riusciti a trovarla, a conquistarla, e se ne siano capite l’importanza e la precarietà.
L’orso non capiva come mai da un po’ di tempo gli sguardi che gli lanciavano erano un po’ meno sorridenti e le mamme tenevano i bambini più lontani, lui non voleva disturbare nessuno, voleva solo andare ogni tanto in panetteria e mangiare da quei bidoni traboccanti di ogni ben di Dio. Se gli umani non avessero voluto che lui andasse lì a mangiare perché avrebbero dovuto offrirgli tutti quei bidoni fuori dalle case?
Per l’orso era evidente che quel cibo era stato lasciato per lui.
La fama dell’orso in paese si era ormai sparsa un po’ ovunque, per alcuni era un po’ mascotte per altri un possibile pericolo, certo era una condizione non normale.
La scelta di cosa fare non spettava solo agli abitanti del borgo e l’orso, comunque, era ormai ben più grosso di quando era comparso la prima volta. E tutti quei bidoni di immondizia rovesciati e rovistati cominciavano a dare fastidio.
In ogni caso gli orsi adulti devono essere monitorati. Così, quando proprio l’orso non si aspettava un tale drastico cambiamento di vita, fu catturato, addormentato, visitato, controllato, gli fu fatta una cartella personale con tutti i suoi dati, gli fu messo il collare per potere sempre conoscere da lontano i suoi spostamenti. Poi, ovviamente, lo liberarono ma in un luogo diverso, lontano dalla sua amata pasticceria e dalla fontana nella piazza, dove ogni tanto andava a bere.
Si risvegliò confuso e per un po’ barcollante, sentiva soprattutto un gran fastidio intorno al collo: qualcosa che un po’ lo costringeva, non aveva male ma fastidio ed era un fastidio che non conosceva e che non sapeva come togliersi. Poi pian piano si abituò a conviverci ma non ne era certo felice.
Dopo qualche giorno vide un suo simile da lontano ma non volle avvicinarsi, si sentiva diverso.
E poi non si ritrovava dove era, ad olfatto sentiva tanti odori, anche buoni, di campagna, anche di miele ma non quello che amava di più, quel profumo fantastico della panetteria che per un certo tempo gli aveva fatto dimenticare la mancanza della madre e dei fratelli e non gli aveva fatto comprendere che il suo essere orso non era compatibile con la vita ai margini delle case dell’uomo.
Non sapeva neppure come portare via il miele alle api e se si avvicinava ad un frutteto sentiva rumori secchi, degli schiocchi e delle urla. Insomma voleva tornare da dove era venuto. Così, sopravvissuto più o miracolosamente a qualche fucilata, forse solo di avvertimento, forse di bracconieri, si era messo in cammino; sentiva che prima o poi avrebbe ritrovato quella che per lui era casa.
L’orso non capiva cosa aveva intorno al collo, non capiva perché si fosse svegliato in un posto diverso da quello dove aveva vissuto per tanto tempo ma sapeva che voleva tornare là dove c’erano la panetteria e tutti quei fantastici, succulenti bidoni.
Camminò molto ed il suo naso gli disse di scendere più a valle. Il suo istinto invece non l’avvertì che una strada asfaltata era per lui un grande pericolo, le aveva già viste nel paese, certo più piccole ma che differenza poteva mai esserci, perciò non aveva timori.
L’orso non capiva cosa fosse quella forma enorme che gli correva velocissima incontro.
Si fermò un attimo incuriosito e un attimo dopo fu travolto e morì, mori su una strada asfaltata travolto da un tir, come muoiono tanti orsi, lupi, cervi che non capiscono, come muoiono tanti umani che non capiscono.
Il problema è sempre quello: capire, capire anche un orso che ama andare in panetteria.