Etichettatura tessile per il “cashmere”

Il cashmere è una fibra proveniente dal sottovello della capra “Hircus Laniger”. I produttori di articoli di alta gamma usano fibra vergine, fine, selezionata e molto costosa, che permette di ottenere articoli di grande morbidezza, eleganza e comfort. Esiste in Europa però anche un mercato per le fibre di cashmere rigenerate, ovvero quelle provenienti da cascami, sfridi di lavorazione o indumenti usati, che vengono trasformati in prodotti di minor pretese e prezzi. Le operazioni di recupero comportano necessariamente un danneggiamento delle fibre e molto spesso un inquinamento da fibre di diversa natura. Nonostante il recupero, il riciclo e la rigenerazione siano considerate operazioni meritorie a livello ambientale ed economico, non è ragionevole che la stessa denominazione di “cashmere” serva ad identificare due prodotti cosi diversi per pregio e performance di lavorazione.

L’attuale direttiva europea (2008/121/CE)1, all’articolo 5 si limita ad escludere l’impiego della denominazione “lana vergine” o “lana di tosa” per etichettare articoli tessili contenenti fibra rigenerata.

È la Commissione

– a conoscenza di questo limite?

– Come pensa di poter colmare tale gap informativo?

– Ritiene essa sia utile rivedere la definizione di “cashmere” presente nel testo della sopraccitata direttiva?

– È la Commissione favorevole ad integrare nella direttiva il codice IWTO (Associazione laniera internazionale) sulle classi di finezza delle lane, al fine di aumentare la competitività di produttori, dettaglianti e sartorie europee di alto livello nei confronti dei nostri maggiori partner europei?

E-4130/10IT
Risposta di Antonio Tajani
a nome della Commissione
(13.07.2010)
La direttiva 2008/121/CE1 armonizza i requisiti di etichettatura sulla denominazione dei prodotti
tessili e delle fibre tessili, descrivendo le disposizioni comuni per l’etichettatura dei prodotti tessili
da collocare sul mercato UE. L’allegato I della direttiva elenca le denominazioni delle fibre che
possono essere utilizzate per fornire informazioni sulla loro composizione nel prodotto. In particolare
il termine “kashmir” deve essere utilizzato per fibre che corrispondono alla definizione del punto 2
dell’allegato I: pelo della capra del Kashmir. La distinzione fra lana vergine e lana riciclata prevista
all’articolo 5 della direttiva non si applica alle fibre di kashmir.
A norma dell’articolo 15 della direttiva, le definizioni di fibre incluse nell’allegato I possono essere
modificate dalla Commissione secondo la procedura di regolamentazione con controllo (PRAC),
in conformità della decisione 1999/468/CE2 del Consiglio. La Commissione effettua la revisione
dell’allegato I in casi debitamente giustificati, sulla base di una richiesta formale. Di conseguenza, la
revisione della definizione di “kashmir” richiede un richiesta formale che determina la giustificazione
e include le informazioni tecniche relative. La Commissione valuta inoltre la richiesta da un punto
di vista legale e tecnico. La Commissione non ha finora ricevuto una richiesta formale, incluso il
fascicolo tecnico, per farlo.
Riguardo alla classificazione della lana, criteri ben definiti come quelli del codice dell’International
Wool Textile Organisation (IWTO), per definire la qualità della lana, non sono solo rilevanti per tutti gli
operatori economici nella catena di fornitura della lana ma anche per il consumatore finale. Tuttavia
la direttiva 2008/121/CE armonizza le denominazioni delle fibre e i relativi requisiti dell’etichettatura
ma non definisce i criteri di qualità per le fibre; non è perciò lo strumento adatto per trattare le
caratteristiche della qualità di una particolare fibra.
In questo contesto è importante ricordare che la direttiva 2008/121/CE stabilisce i requisiti minimi di
etichettatura per rendere disponibili sul mercato UE i prodotti tessili; tuttavia, gli operatori economici
possono indicare altre particolarità e informazioni purché non inducano in errore i consumatori.