AZIENDE EUROPEE E LAVORI FORZATI CINESI

E’ di questi giorni la rivelazione
di alcuni detenuti australiani e neozelandesi appena usciti dal carcere cinese
di Dongguan: secondo quanto affermano, sarebbero stati costretti a produrre
elementi per auricolari nella fabbrica del carcere, dove i detenuti subiscono
ripetuti abusi fisici e sono costretti all’isolamento, a privazioni e
umiliazioni nel caso in cui non riescano a raggiungere gli obiettivi di
produzione. Gli stessi auricolari sono poi venduti a grandi compagnie aeree,
tra cui se ne annoverano una australiana, una di Dubai e una inglese, che le
utilizzano sui voli a lunga distanza. Ai detenuti non vengono riconosciuti che
pochi spiccioli per il loro lavoro, oltre ad essere picchiati e reclusi, come
già detto, se non svolgono il loro lavoro in modo da accontentare i
sorveglianti. Gli stessi ex detenuti dichiarano che oltre ai pezzi di
auricolari, erano costretti a produrre anche complementi elettronici per una
grande industria degli elettrodomestici svedese e per una americana.

La Commissione:

1.    È
in grado di certificare se all’interno del carcere di Dongguan o di carceri con
regimi di lavoro simili siano detenuti cittadini degli Stati membri?

2.    Non
ritiene di dovere verificare insieme agli Stati membri le cui aziende sono
coinvolte la condotta delle suddette aziende e il rispetto delle Convenzioni
dell’OIL sui diritti dei lavoratori?

3.    Quali
strumenti utilizza per il controllo dell’eticità della produzione delle merci
che entrano nel mercato interno?

IT

E-008314/2013

Risposta di
Karel De Gucht

a nome della
Commissione

(19.9.2013)

Secondo le
informazioni fornite dagli Stati membri, sembra che vi siano due cittadini
olandesi nella prigione di Dongguan che stanno effettivamente lavorando, ma in
condizioni in nessun caso simili a quelle descritte nell’interrogazione. Anche
pochi altri cittadini dell’UE sono attualmente detenuti in altre prigioni in
Cina e sembra che alcuni di essi siano lavorando, ma nessuno di loro ha
denunciato condizioni dure simili a quelle descritte.

 

Anche se la Commissione non ha
fatto ricorso a procedure vigenti per controllare la natura etica delle
importazioni nell’UE, essa sostiene attivamente le prassi di comportamento
responsabile nelle imprese, anche per quanto riguarda la gestione della catena
di approvvigionamento. Per quanto riguarda le sue iniziative e la portata della
sua azione in rapporto alla condotta delle imprese nei paesi terzi, la Commissione rimanda
l’onorevole deputato alle risposte all’interrogazione E-007540/2013.

 

L’onorevole
deputato può inoltre fare riferimento alla risposta della Commissione
all’interrogazione E-007894/2013[1] concernente
le denunce di un presunto ricorso al lavoro forzato dei detenuti nella prigione
di Dongguan.



[1]     http://www.europarl.europa.eu/plenary/en/parliamentary-questions.html?tabType=wq#sidesForm