IL GIORNO DEL RICORDO

Il Giorno del Ricordo è denso di parole significative, come quelle pronunciate dal Presidente della Repubblica, di gesti di omaggio, di testimonianze commosse e di vili scritte di irriducibili sciacalli.

In questo giorno però non vorrei dire altre parole sulla tragedia che ha visto uccidere, infoibati, 5000 italiani e trecentomila persone abbandonare piangendo, e senza poter portare quasi nulla, le loro case, proprio per continuare ad essere italiani.

Vorrei invece che ciascuno di noi, per un momento, pensasse a cosa è una foiba.

Vorrei che per un momento pensassimo a cosa proveremmo se un nostro congiunto ci fosse improvvisamente portato via da casa e non ne avessimo più notizie.

Vorrei che provassimo a percepire cosa si prova quando si è presi, improvvisamente e ingiustamente imprigionati e picchiati e poi uccisi quando, ancora vivi, si è buttati tra gli altri morti infoibati.

Vorrei che provassimo a immaginare la disperazione, il dolore, la sofferenza.

Il ricordo è soprattutto questo, sentirsi per un attimo come loro, trucidati o costretti alla fuga, immedesimarsi nel dolore dei singoli e nella storia mentre viviamo in una società che si sta abituando a quotidiane violenze.

Vorrei che, per quanto è in nostro potere, le nostre azioni, il nostro modo di vita fosse improntato a contrastare il male, la violenza, l’ingiustizia, il sopruso, che un po’ del nostro tempo fosse dedicato agli altri.

Il miglior modo di ricordare è impedire che l’orrore del passato diventi un nuovo orrore nel presente